Ep. 30 / Quando i veneziani fecero esplodere il Partenone: storia di un’impresa disastrosa

I turchi si sono rifugiati con le loro famiglie in quel tempio che considerano sicuro. Con il suo tetto in pietra e la solida struttura in marmo li proteggerà dalle truppe veneziane che li tengono sotto assedio. Hanno accatastato lì dentro viveri, munizioni e soprattutto polvere da sparo. Quel tempio è lì da circa duemila anni. Lo conosciamo tutti con il nome di Partenone e la sera del 26 settembre 1687 nessuno immagina che di lì a poco un colpo di mortaio spazzerà via secoli di storia, arte e vite umane.

Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.

Per chi mi segue sui social sa che sono stato ad Atene. Tra i tanti luoghi di interesse, ovviamente, c’è lui: sua maestà il Partenone. Prima di partire per la Grecia ho fatto un po’ di ricerche perché volevo saperne di più sulla sua storia. Ricordo che a scuola studiai l’importanza del Partenone nell’età classica ma in nessun libro ricordo alcun accenno alla sua distruzione. Forse perché si trattò di un evento collaterale, ma quell’evento ha segnato senza dubbio l’inizio del suo declino e ha cambiato la storia.

A guidarmi nelle ricerche e nel mio viaggio il libro scritto da Alessandro Marzo Magno dal titolo: “Atene 1687. Venezia, i turchi e la distruzione del Partenone” edito da il Saggiatore. Un libro che ricostruisce uno degli eventi forse più tragici in termini di perdita di patrimonio artistico e culturale.

Grazie a questo libro e quanto appreso dalla guida locale voglio portarvi proprio a quella sera del 26 settembre 1687 quando tutto iniziò o forse, sarebbe meglio dire, quando la bellezza del Partenone come lo conoscevano gli antichi svanì per sempre.

Da un lato c’è la Repubblica di Venezia. La flotta della Serenissima è nelle mani del Capitano Generale da Mar Francesco Morosini, mentre le truppe di terra sono affidate a Otto Wilhelm von Königsmarck. Dall’altro lato c’è l’impero ottomano. Il contesto è la guerra di Morea, uno scontro bellico che vede veneziani e turchi affrontarsi dal 1684, con i primi che vogliono approfittare dell’occasione offerta dallo scontro tra Impero Ottomano e Impero Asburgico per assicurarsi il controllo sulla Morea (il Peloponneso) e il mar Egeo. La guerra di Morea si concluderà solo nel 1699, ma l’evento che ci interessa è l’assedio di Atene da parte delle truppe veneziane.

La flotta del futuro doge Francesco Morosini è sbarcata nel Pireo. I turchi, atterriti dal dispiego di forze, non possono far altro che ritirarsi e rifugiarsi sull’Acropoli che nelle cronache del tempo viene chiamata <<la fortezza>>. Su quella collina svetta il tempio di Minerva, noto poi con il nome di Partenone. Ed è qui che i turchi, circa 3600, stanno ammassando viveri, munizioni e materiale incendiabile. Non sanno per quanto tempo resteranno lì, ma sono sicuri che quel tempio li proteggerà.

I veneziani, secondo alcune fonti, propongono un ultimatum: arrendersi, lasciare la rocca e portar via i loro beni. Ultimatum ignorato dai turchi che si sentono non solo sicuri in quel tempio ma sono certi che mai e poi mai i cristiani decideranno di bombardare una tale bellezza architettonica ed artistica.

Con il senno di poi sappiamo che i calcoli di questi ultimi furono sbagliati perché la Serenissima dà il via al bombardamento che ha inizio il 23 settembre.

Siamo nel 1687 e l’artiglieria usata non è di sicuro affidabile sul piano della precisione. I colpi dei mortai, infatti, spesso sorvolano il tempio per poi finire dall’altra parte e colpire la città e gli assedianti che si trovavano dal lato opposto. I turchi hanno anche rinforzato la rocca distruggendo il tempio della dea Nike e utilizzando le pietre per costruire un bastione sul lato occidentale. 

Le truppe e i generali veneziani sono consapevoli che un tale assedio potrebbe durare giorni se non mesi. Occorre spostare i mortai, aggiustare il tiro e colpire il bersaglio. Che quel bersaglio poi sia proprio una delle più importanti costruzioni dell’età classica non importa.

I mortai vengono dunque spostati finché alle sette di sera di quel 26 settembre non accade “il fattaccio” come viene definito da alcuni cronisti del tempo. Un colpo, fortuito o fortunato, cade proprio nel Partenone. Il boato è solo il preludio all’esplosione. Una deflagrazione che spazza via tutto e tutti distruggendo vite e secoli di storia e arte. La polvere da sparo contenuta all’interno del tempio non fa altro che peggiorare le cose. Gli incendi divampano e per due giorni distruggono tutto. Il bilancio oscilla tra le 200 e le 300 vittime (la maggior parte civili). Vengono distrutti ventotto colonne, parti del fregio e i vani interni che erano stati usati come chiesa e come moschea. Il 29 settembre i turchi si arrendono.

La notizia della distruzione del Partenone è un evento che fa notizia ed apre numerosi dibattiti. È interessante notare come un evento così importante come la distruzione di un patrimonio culturale venga filtrato e raccontato in modo tale da offrire la versione migliore da lasciare ai posteri e salvare così la faccia. Le cronache si dividono: c’è chi dice che i veneziani non volessero colpirlo. Per la legge dei grandi numeri, bombardando la rocca, è inevitabile che un colpo finisca anche sul Partenone. Una tesi poco credibile in quanto alcuni testimoni confermano che invece i veneziani erano consapevoli della gravità di quell’attacco e che il Partenone, in tempo di guerra, non rappresentava altro che un deposito di munizioni.

C’è poi chi prova a spostare il focus e dare la colpa ai tedeschi. Sì, perché le truppe della Serenissima sono composte da uomini provenienti da zone diverse dell’Europa. Tra questi ci sono i tedeschi che non hanno remore nel bombardare il tempio di Minerva. Perché no, la colpa è anche dei turchi: se avessero accettato l’ultimatum non ci sarebbe stato nessun bombardamento e il Partenone (forse) sarebbe ancora lì integro.

Tra le fila dei veneziani si fa largo anche un’altra tesi: il tempio aveva un’apertura che lasciò entrare il colpo fatale.

Teorie e revisionismo a parte, il danno è incalcolabile. Ci sono diverse raffigurazioni del Partenone prima e dopo il bombardamento. Risalgono al XVII sec. e ci possono dare a grandi linee un’idea di come dovesse apparire a quel tempo ma anche dei danni inferti durante il bombardamento. Sul sito di In cerca di storie vi lascio i link ai siti (clicca qui) dove potete trovare queste raffigurazioni. L’ultima immagine disponibile del Partenone integro risale a undici anni prima e fu pubblicata da Jacob Spon e George Wheler nei loro libri (clicca qui).

Ma cosa andò perduto durante quel bombardamento? È difficile dare una risposta perché in quasi duemila anni di storia (considerando la data dell’assedio) il Partenone subì diverse trasformazioni. Abbiamo solo le testimonianze scritte di chi, durante i secoli, ebbe la fortuna di visitare Atene e ammirare quel tempio così famoso in tutto il mondo.

Sappiamo con certezza che alcune delle grandi opere d’arte contenute al suo interno e risalenti all’età classica erano già scomparse al tempo dell’assedio. Ad esempio, la famosa statua di Atena “fatta in avorio e oro” realizzata da Fidia. Sembra che la quantità d’oro utilizzata per realizzarla l’avesse resa più costosa del tempio stesso. La statua, quando il tempio divenne una chiesa nel VI sec. d.C., fu rimpiazzata da elementi religiosi: vi era una colomba d’oro, con corona d’oro, che girava in modo perpetuo in cerchio sopra al crocifisso in modo da simboleggiare lo Spirito Santo; una lampada che bruciava ininterrottamente (dobbiamo immaginare qualcosa come la fiamma che di solito possiamo vedere all’altare del Milite Ignoto) ed infine il vangelo trascritto in greco su pergamena dorata da Sant’Elena di sua mano.  

Secondo le fonti l’esplosione fu così forte da spargere pezzi di colonne, mosaici e sculture a centinaia di metri di distanza. Da non trascurare poi un altro elemento: il saccheggio. Una volta abbandonata l’Acropoli, civili e soldati portano via quanti più “cimeli” possibili. Ad esempio, i leoni che possiamo ammirare all’ingresso dell’arsenale di Venezia provengono proprio da Atene. Uno solo proviene da Corfù. Se incendi e saccheggi non fossero abbastanza, il Partenone, come accadde anche per altre grandi costruzioni dell’antichità (ad esempio il Colosseo), fu utilizzato come cava di calcare. Gli ateniesi cuocevano le pietre per ricavarne calce. Tra le pietre utilizzate anche quelle scolpite da Fidia. Ecco perché è impossibile quantificare il danno seguito a quell’evento.

Ci sarebbe un’ultima domanda da porsi: ne valse la pena? Purtroppo, come previsto dallo stesso Morosini, la conquista di Atene non durò a lungo. La città venne subito rioccupata dai turchi rendendo il disastro del Partenone una perdita troppo grande e ingiustificabile.

Si conclude qui la storia di quest’oggi. Prima di salutarvi, vi ricordo che sul sito www.incercadistorie.com trovate anche un reel dedicato al Partenone. Se siete interessati al mio viaggio ad Atene trovate anche gli articoli su altri luoghi che ho visitato con tanto di foto e storie.

Se questa storia vi è piaciuta, lasciate un mi piace e condividetela. Ricordatevi di seguire il podcast su Instagram e YouTube per contenuti extra. Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!

Libro citato nell’episodio:

  • “Atene 1687. Venezia, i turchi e la distruzione del Partenone” di Alessandro Marzo Magno – il Saggiatore

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