Ep. 28 / La statua che nessuno vuole

Imponente. Impressionante ma non molto bella. Tremenda. Imponente ma stonata. Una tamarrata. Queste sono solo alcune delle 1997 recensioni che potete trovare su Google. Tra tutte una mi ha incuriosito. Un utente scrive: “Pensavo fosse Cristoforo Colombo”. E nella mia mente, riguardando la foto che ho tra le mani, penso: “In effetti quest’uomo sembra proprio Cristoforo Colombo. Ci sono pure le caravelle”. Vi chiederete di cosa sto parlando. La storia di oggi è dedicata ad una statua molto particolare. Perché questa è la storia della statua che nessuno vuole.

Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.

La storia di quest’oggi nasce qualche giorno fa. Stavo rivedendo un po’ di foto del mio viaggio in Russia del 2018 e tra le foto scattate a Mosca mi sono soffermato su una di esse, dove ho immortalato una statua. Ve la descrivo: in alto spicca un uomo in piedi sulla prua di una fregata. Con la mano sinistra regge il timone, con la destra un rotolo d’oro. Alla base della statua altri velieri di forme e dimensioni diverse tra loro. La foto la trovate ovviamente sul sito di In Cerca di storie e sulla pagina Instagram del podcast.

La statua di Pietro il Grande a Mosca

La statua si trova su un’isola artificiale in una rientranza del fiume Moscova. Se visitate Mosca è difficile non notarla. È infatti alta 98 metri ed è la settima statua più alta del mondo. Per fare un paragone è più alta della Statua della Libertà che ne misura 93. Se poi siete curiosi, ho cercato anche quale fosse la più alta al mondo ed è la Statua dell’Unità dedicata al capo del movimento d’indipendenza indiano Sardar Vallabhbhai Patel. Si trova a Rajpipla in India ed è alta 182 metri.

Torniamo alla statua di Mosca. Vedendola in tutta la sua maestosità con quei velieri anche io, come tanti altri leggendo le recensioni, avevo pensato inizialmente a Cristoforo Colombo. In realtà la statua è dedicata a Pietro Alekseevič Romanov, meglio conosciuto come Pietro il Grande. Un aggettivo non dato a caso perché non solo fu un innovatore e un sovrano illuminato, ma soprattutto perché era alto 2 metri e nel XVIII sec. era qualcosa fuori dall’ordinario. È raffigurato con dei velieri perché fu proprio lui a costituire con un decreto la Marina russa nel lontano 20 ottobre 1696.

Raccontata così sembrerebbe solo la storia di un abbaglio. Sembra Cristoforo Colombo ma in realtà è Pietro il Grande. Se fosse così questa storia non avrebbe nulla di particolare. Ma ecco il colpo di scena. Quella statua c’entra qualcosa con il navigatore italiano più famoso della storia. Anzi, dal collo in giù quella statua è proprio dedicata a Cristoforo Colombo. Dal collo in giù? Sì, avete sentito bene. Ma andiamo con ordine.

Per scoprire la sua storia dobbiamo riavvolgere il nastro e tornare agli inizi degli anni 90’. L’architetto georgiano naturalizzato russo Zurab Konstantinovič Cereteli decide di progettare una statua gigantesca per raffigurare Cristoforo Colombo in occasione del 500º anniversario della scoperta dell’America, nel 1992. Cereteli si mette alla ricerca di possibili clienti statunitensi. La propone a diverse città: tra queste Baltimora, New York, Boston, Miami e Columbus in Ohio. Tutte però rifiutano. Come dargli torto, in effetti accogliere nella propria città una statua di oltre 600 tonnellate di acciaio inossidabile, bronzo e rame, non è proprio una buona idea. È così che Cereteli ha un’intuizione. Sostituire la testa di Cristoforo Colombo con quella di Pietro il Grande, zar e primo imperatore di Russia, per celebrare appunto i 300 anni della costituzione della Marina russa.

Fatto questo piccolo, per modo di dire, ritocco, ora deve nuovamente trovare un cliente disposto ad accettarla. Questa volta è fortunato. Perché l’amico e sindaco di Mosca, nonché padre padrone della città Jurij Michajlovič Lužkov, accetta. La fa collocare nel 1997 proprio nella capitale russa. Cercando online e leggendo un po’ di commenti si scopre che Lužkov, sindaco di Mosca dal 1992 al 2010, non era nuovo a questo tipo di idee bizzarre. Ha disseminato la città con statue dallo stile e dal gusto discutibile.

Ma come l’hanno presa i suoi concittadini? Male, e non lo si nota solo dalle recensioni. La statua, infatti, è stata definita a più riprese la più brutta del mondo. Durante gli anni sono stati diversi i tentativi per distruggerla. Ancora oggi c’è chi vorrebbe farla saltare in aria. Nel 2010 il nuovo sindaco di Mosca ha espresso chiaramente il suo desiderio di disfarsi una volta per tutte di essa. Non è facile però, perché altre città, tra cui San Pietroburgo, hanno rifiutato di accoglierla in “casa”. Da non trascurare poi l’aspetto economico. Per il suo “trasloco” servono qualcosa come 30 milioni di dollari. Per alcuni cittadini però questo è il male minore. Disfarsi di questa statua non ha prezzo. Dal 1997 è ancora lì. Almeno secondo Maps.

Cereteli ha sempre negato di aver riutilizzato un’idea precedente per la statua di Pietro il Grande. Non si è neanche perso d’animo per i tanti rifiuti ed è riuscito ad inaugurare nel 2016 una statua dedicata finalmente a Cristoforo Colombo. Si chiama “Nascita del Nuovo Mondo”, è alta 110 metri e si trova a Arecibo, Porto Rico. Anche questa statua non è stata immune alle polemiche. Una fra tutte il costo esorbitante per un Paese gravato all’epoca da un debito di oltre 72 miliardi di dollari. Ma questa, è un’altra storia.

Si conclude qui la storia di quest’oggi. Ricordatevi di seguire il podcast su Instagram e YouTube per contenuti extra. Se questa storia vi è piaciuta, lasciate un mi piace e condividetela.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!

Fonti per questa storia:

Ep. 27 / Tito Livio Burattini: il Leonardo da Vinci del nord

Il re polacco Ladislao IV non può credere ai suoi occhi. Il suo cortigiano di fiducia gli ha appena mostrato il disegno di un aeromobile con una forma alquanto singolare. Un drago volante che, a detta del suo ideatore, sarebbe in grado di esaudire uno dei desideri che ossessionano da secoli gli uomini: volare. L’ideatore è una delle menti più brillanti del XVII secolo. Questa è la storia di Tito Livio Burattini, il “Leonardo da Vinci del nord”.

Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.

Mi sono imbattuto per caso in questa storia. Passeggiavo per il centro di Vilnius quando ho notato una scultura molto particolare. Ve la descrivo. C’è una parola in alto “Metras” che sta per metro. Al centro il volto di un uomo di profilo. In basso un nome: Tito Livio Burattini. Non è da tutti i giorni trovare una scultura dedicata ad un italiano nel pieno centro di una capitale europea. Incuriosito ho cercato il suo nome in rete ed ho scoperto un personaggio straordinario. Ed ora, vi racconto la sua storia.

La scultura dedicata a Burattini che si trova a Vilnius

Burattini nasce ad Agordo, una piccola città di poco più di 4000 anime nella provincia di Belluno. All’epoca, siamo nel 1617, Agordo è sotto il dominio della Repubblica di Venezia. Viene da una famiglia nobile e agiata e questo gli permette di intraprendere fin da giovane gli studi presso le Università di Padova e Venezia. Decide fin da subito di abbandonare il suo paese natale ma soprattutto l’Italia. La prima esperienza lontano dal Bel Paese è in Egitto.

Trascorre in Egitto 4 anni. Dal 1637 al 1641 si dedica allo studio delle lingue orientali, alla scoperta delle antichità egizie ed esplora la valle del Nilo per studiarne le sue periodiche inondazioni. Per un certo periodo lavora a stretto contatto con il matematico e astronomo inglese John Greaves. Insieme visitano e misurano piramidi, obelischi e monumenti. Tra le piramidi oggetto delle loro misurazioni, anche la Grande Piramide di Giza, la più antica delle sette meraviglie del mondo. Nei taccuini dell’astronomo inglese, diverse pagine sono scritte in italiano. Prova questa della sua collaborazione con Burattini.

Lasciato l’Egitto torna in Europa. Qui dopo una breve parentesi in Germania, si sposta alla corte polacca a Cracovia. È proprio in Polonia che consacrerà il suo genio. A rendere unica la sua figura, la sua capacità di cimentarsi in diversi ruoli. Serve ben quattro re polacchi come architetto, ingegnere, meccanico e diplomatico. La corte polacca è un ambiente stimolante per il suo genio. La regina Maria Luisa di Gonzaga-Nevers è un’appassionata di scienze ed arti nonché una mecenate. Ha invitato a corte diversi scienziati ed artisti europei. In questo clima culturale Burattini, quando non è impegnato in campagne militari o missioni diplomatiche all’estero, si dedica allo studio dell’astronomia e dell’ottica. Costruisce lenti per telescopi e microscopi e durante una delle sue osservazioni insieme a Stanislaw Pudłowski, allievo di Galilei, scopre le macchie di Venere nel 1665.

La corte polacca gli affida incarichi prestigiosi: nominato Regis Poloniae Architectus, architetto reale polacco, dirige diversi lavori di costruzione, tra cui castelli e palazzi reali a Varsavia. Il re polacco gli affida anche la gestione della Zecca di Cracovia. Sappiamo che nel 1659 riceve l’appalto per l’emissione di nuove monete di bronzo su cui si trovano impresse le sue iniziali. Un incarico questo che gli procura non poche grane. È accusato infatti di profitti illeciti e a stento riesce a giustificarsi dinanzi alla corte. Per sua fortuna, la commissione, messa alle strette dalla necessità di pagare le truppe, gli propone di rinnovare il contratto e di coniare la stessa moneta che ormai è conosciuta da tutti come boratynki.

Le vicende di corte e i suoi incarichi per conto dei re polacchi non sono il motivo per cui è passato alla storia. All’inizio dell’episodio vi ho parlato della scultura dedicatagli a Vilnius. Se siete curiosi, trovate la foto sul sito di In cerca di storie. Su quella scultura campeggia, come detto, la parola “metro”. Infatti Burattini è considerato il primo a suggerire la parola metro per un’unità di lunghezza. Nel 1675 pubblica a Vilnius il libro dal titolo “La Misura Universale” dove propone come unità di misura lineare la lunghezza del pendolo battente il minuto secondo. Sceglie il termine “metro” che deriva dal greco “metron”, misura. Alla parola metro affianca anche “cattolico”, per sottolineare come questa unità di misura dovrà essere usata in tutti i paesi cattolici di allora.

La targa posta accanto alla scultura di Burattini a Vilnius. Sulla sinistra si vede il “drago volante”

Ma non c’è solo il metro. Come prova del suo genio e del suo essere un visionario del tempo, ci sono due invenzioni. La prima è una macchina calcolatrice realizzata nel 1650 e donata al Granduca Ferdinando II de’ Medici. Si tratta di un dispositivo di calcolo all’avanguardia per l’epoca perché non solo permetteva di eseguire calcoli matematici di base ma, grazie all’utilizzo di 18 dischi graduati, poteva gestire i diversi sistemi monetari italiani del XVII secolo.

Dulcis in fundo, quello che è passato alla storia come uno dei suoi progetti più bizzarri: il drago volante. Nel 1647, Burattini presenta al re polacco Ladislao IV un trattato dal titolo appunto “Il drago volante”. Si tratta di un ornitottero, un aeromobile a superficie alare battente. Il nome deriva dalle parole greche órnis, -ithos, “uccello” e pterón, “penna, ala”, perché il funzionamento di queste macchine si basa sullo sbattere delle ali degli uccelli. Per fortuna il disegno di questo aeromobile si è conservato e lo si può trovare in rete. Si vede questo drago e quattro ali di aliante. Sulla parte superiore è collocato un paracadute. Necessitava di un equipaggio di tre persone e secondo le stime del tempo avrebbe impiegato 12 ore per viaggiare da Varsavia a Costantinopoli. Influenzato dagli studi di Leonardo da Vinci e dai suoi modelli, quello di Burattini di sicuro colpì l’immaginazione della corte polacca. Il desiderio di volare era ancora forte ma nessuno fino ad allora era riuscito nell’impresa di realizzare un prototipo che funzionasse davvero. Sul suo drago ci sono diverse teorie. Sembra che il re avesse deciso di finanziare l’opera e che un modello funzionante fosse stato realizzato veramente. Non si hanno però notizie di esperimenti di volo. Sembra invece che un modello più piccolo fosse stato realizzato a scopo dimostrativo. Durante l’esperimento, il drago volante trasportò un gatto come passeggero. Secondo altre teorie invece la corte non finanziò mai la sua opera.    

Seppur bizzarro, il drago volante è ritenuto da diversi storici come una pietra miliare nello sviluppo di macchine volanti da Leonardo Da Vinci nel XV secolo a Sir George Cayley, uno dei pionieri dell’ingegneria aeronautica, nei primi anni del XIX secolo.

Burattini muore nel 1681 all’età di 64 anni. Egittologo, geografo, matematico, astronomo, viaggiatore, diplomatico, inventore, architetto. Una lista infinita per un uomo che ha fatto la storia.

Si conclude qui l’episodio di quest’oggi. Se vi è piaciuta questa storia fatemelo sapere nei commenti. Sul sito di In cerca di storie trovate la trascrizione dell’episodio e le foto della scultura dedicata a Tito Livio Burattini. Non dimenticatevi di seguirmi su YouTube e Instagram per contenuti extra. Per supportare il podcast lasciate un mi piace e condividete la storia.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!

Bona Sforza: come la cucina italiana conquistò la corte lituana

È affascinante come sia possibile visitare un museo all’estero e scoprire qualcosa sul proprio Paese d’origine. Mi è capitato visitando il Palazzo dei Granduchi di Vilnius. Nelle maggiori corti europee c’è sempre stato un tocco d’Italia. Arte, architettura, ingegneria, musica e come in questo caso: il cibo. Sì, perché uno degli elementi che lega la Lituania all’Italia è anche la cucina.

Nel XVI sec. si deve a Bona Sforza d’Aragona, regina consorte di Polonia e granduchessa consorte di Lituania, l’dea di introdurre a corte prodotti esotici come gli spinaci, il pomodoro, il cetriolo o il cavolfiore. Con al seguito una squadra di cuochi italiani, in trent’anni di regno trasforma radicalmente la cucina locale. Un tocco d’Italia che resiste ancora oggi.

Il Palazzo dei Granduchi di Lituania si trova a Vilnius vicino alla Cattedrale. Costruito nel XV secolo, era la sede dei Granduchi di Lituania e di alcuni re di Polonia. Il Palazzo originale, dove ha soggiornato la stessa Bona Sforza, è andato purtroppo distrutto nel corso dei secoli. Quello che ora ospita il museo è stato ricostruito solo nel 2002 in stile rinascimentale. L’ultima domenica del mese è possibile visitarlo gratuitamente.

Ecco alcune foto di cosa si può ammirare al suo interno.

Alla scoperta dei segreti dell’Antico Egitto

Questo museo era sulla mia lista di posti da visitare da molto tempo. Appassionato fin da piccolo dell’Antico Egitto ho finalmente visitato il Museo Egizio di Torino. Il più antico museo al mondo dedicato a questa civiltà.

Fondato nel 1824, si sviluppa su quattro piani e conserva oltre 40.000 reperti. Tra questi: 24 mummie umane, 219 tra mummie e sarcofagi di animali e il famoso Papiro di Luefankh, lungo quasi 1847 cm che contiene il “Libro dei Morti”, una raccolta di formule per la guida, la protezione e la resurrezione del defunto nell’aldilà.

Se non avete avuto la possibilità di visitarlo, potete farvi un’idea della maestosità di questo museo attraverso il mio video e le foto.

Musei Reali: un viaggio nella Storia

La prima volta che vidi l’Armeria Reale fu in un documentario presentato dal prof. Alessandro Barbero. Finalmente ho avuto la possibilità di visitarla e posso confermare che dal vivo è ancora più suggestiva. I Musei Reali sono una tappa obbligata se siete a Torino. Sono in pieno centro e con un unico biglietto potete visitare un complesso che comprende: il Palazzo Reale, l’Armeria Reale, la Biblioteca Reale, la Galleria Sabauda, il Museo di Antichità e i Giardini Reali. Un museo immenso che custodisce 400.000 opere distribuite su circa 25.000 m2 di esposizione con oggetti che vanno dalla Preistoria all’età moderna.

Risalgono al 1563 quando Emanuele Filiberto di Savoia trasferisce la capitale del ducato da Chambéry a Torino e decide di arricchire le collezioni dinastiche. Nell’Armeria Reale noterete, forse più che in altri luoghi, oggetti provenienti dai posti più disparati del pianeta, nonché risalenti a secoli tanto lontani tra loro.

È un complesso museale che soddisfa diversi interessi. Se siete amanti dell’arte, la Galleria Sabauda fa al caso vostro. Se siete amanti della storia, che dire, c’è l’imbarazzo della scelta. Il Museo di Antichità, ad esempio, custodisce statue greche e romane, rilievi scolpiti e busti marmorei, ed ha la raccolta più ricca in Italia di testi cuneiformi e sigilli a cilindro. Da non perdere il Tesoro di Marengo con oggetti datati tra il II e il III secolo d.C. tra cui spicca il busto dell’imperatore Lucio Vero (lo trovate nelle foto in basso). Il ritratto, probabilmente realizzato prima della sua morte (169 d.C.), è così fedele che possiamo notare la sua fisionomia e le irregolarità: occhi asimmetrici un po’ strabici e naso aquilino. Si dice che per accentuare il biondo dei suoi capelli fosse solito cospargerli di pagliuzze d’oro. La lamina d’argento utilizzata per realizzare il busto, però, non ci aiuta a capire se fosse davvero così. Oltre al video vi lascio qualche foto scattata durante la visita.

Un consiglio per la visita: occhio all’orario di chiusura della Biblioteca Reale. Purtroppo quando ho visitato i Musei Reali era troppo tardi e la Biblioteca era già chiusa. Un motivo in più per tornare e visitare questo splendido museo.

2 anni di In cerca di storie

Era solo un’idea, un modo per dare sfogo alle mie passioni. Ed eccomi qui a celebrare due anni del podcast In cerca di storie. Grazie a tutti coloro che decidono di passare il loro tempo, il bene più prezioso che abbiamo, a leggere o ascoltare le mie storie. Un grazie a chi mi segue su Instagram e su YouTube; alla community di WordPress che cresce con il tempo e non fa mai mancare il proprio supporto. Senza di voi questo progetto non sarebbe possibile.

Ci sono tante altre storie che voglio raccontarvi. Ho in cantiere nuovi progetti e perché no anche contenuti diversi dal “semplice” podcast. Da un po’ di tempo propongo anche video e visto l’ottimo riscontro ho deciso che continuerò ad affiancarli alle storie.

Continuate a supportare il podcast lasciando un like o condividendo i miei contenuti. Grazie e alla prossima storia!

Devi avere un sogno per svegliarti la mattina

Billy wilder

Festa del Tricolore: come nacque la bandiera italiana

Verde. Bianco. Rosso. Pronunciare questi tre colori ci richiama alla memoria la bandiera italiana. Dal 1996, ogni 7 gennaio, si celebra la Festa nazionale del Tricolore. Una festa nata in occasione dei 200 anni dalla creazione e adozione di quella che poi divenne la bandiera italiana da parte della Repubblica Cispadana, una delle prime Repubbliche sorelle dell’Italia settentrionale sotto il dominio francese.

LA NASCITA DEL TRICOLORE Il Congresso della Repubblica Cispadana, nata nel 1796 durante la Campagna d’Italia condotta dal generale Bonaparte, decise in modo unanime di adottare il vessillo tricolore. La proposta fu avanzata dal letterato illuminista e sacerdote Giuseppe Compagnoni, passato alla storia come il “padre del tricolore”. I tre colori scelti erano il verde, il bianco e il rosso, disposti orizzontalmente. Al centro campeggiava lo stemma con le 4 frecce rappresentanti i territori della repubblica.

I COLORI I colori si ispiravano a quelli della bandiera francese e richiamavano gli ideali della Rivoluzione francese. Il blu fu sostituito con il verde, simbolo dei diritti naturali di uguaglianza. Il motto della stessa Repubblica Cispadana recitava: “Libertà. Eguaglianza. Una e indivisibile”.

SIMBOLO IDENTITARIO Il vessillo tricolore divenne così il simbolo in cui si identificarono i patrioti italiani in lotta per l’indipendenza del Paese. Durante il Risorgimento, infatti, divenne la bandiera del Regno di Sardegna e di tutti quei territori che unendosi durante le Guerre d’Indipendenza diedero vita al territorio nazionale. Il Regno di Sardegna incominciò ad utilizzarla ufficialmente nel 1848. Al centro del tricolore, lo stemma dei Savoia. Questa bandiera ‘resistette’ per circa 100 anni.

L’ATTUALE BANDIERA Il tricolore come lo conosciamo oggi nacque solo dopo la Seconda guerra mondiale. Il 24 marzo 1947, infatti, la neonata Repubblica Italiana rimuoveva il simbolo dei Savoia dalla bandiera e proclamava nell’articolo 12 della Costituzione il seguente articolo: «La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.»

CURIOSITÀ Per esporre la bandiera italiana occorre seguire alcune regole specifiche. Sul sito del Governo Italiano leggiamo che le bandiere devono essere esposte «in buono stato e correttamente dispiegate; né su di esse, né sull’asta che le reca, si applicano figure scritte o lettere di alcun tipo. Su ciascuna asta si espone una sola bandiera. Ogni ente designa i responsabili alla verifica della esposizione corretta delle bandiere all’esterno e all’interno. I rappresentanti del Governo nelle province vigilano sull’adempimento delle norme sulla esposizione delle bandiere. Sono fatte salve le disposizioni particolari riguardanti le bandiere militari e di altri corpi ed organizzazioni dello Stato, nonché le regole, anche consuetudinarie, del cerimoniale militare e di quello internazionale.» In caso la bandiera nazionale fosse accompagnata da altre bandiere, per esempio quella europea, occorre rispettare un ordine:  «1. La bandiera nazionale e quella europea, di uguali dimensioni e materiale, sono esposte affiancate su aste o pennoni posti alla stessa altezza. 2. La bandiera nazionale è alzata per prima ed ammainata per ultima ed occupa il posto d’onore, a destra ovvero, qualora siano esposte bandiere in numero dispari, al centro. Ove siano disponibili tre pennoni fissi e le bandiere da esporre siano due, è lasciato libero il pennone centrale. 3. La bandiera europea anche nelle esposizioni plurime occupa la seconda posizione.»

Il finto borgo medioevale che sembra “vero”

Da circa 140 anni si affaccia sulle rive del Po. A guardarlo da fuori, sembra un vero e proprio borgo medioevale. Non appena entrate vi sembrerà di fare un viaggio nel tempo. Sto parlando del borgo medioevale di Torino che si trova all’interno del parco del Valentino.

Nato nel 1884 come Sezione di Arte Antica dell’Esposizione Generale Italiana, è il frutto del lavoro di una commissione di storici, letterati, architetti e pittori diretta dal facoltoso portoghese studioso dell’architettura italiana Alfredo D’Andrade. Il progetto, in linea con la moda di fine Ottocento, aveva un obiettivo ambizioso: ricostruire fedelmente lo stile e l’atmosfera di un borgo del XV secolo che racchiudesse al suo interno i tratti tipici di un territorio come la Valle d’Aosta e il Piemonte.

Un obiettivo ampiamente centrato. Grazie all’utilizzo di modelli del tempo, è stato realizzato in modo così fedele da sembrare vero. Dalla Bottega del ferro battuto alla Stamperia, sembra che il tempo si sia fermato. Il 27 aprile 1884 venne inaugurato alla presenza dei sovrani d’Italia, Umberto e Margherita di Savoia. Il suo destino era segnato. Infatti il progetto iniziale prevedeva la sua distruzione al termine dell’Esposizione. Cosa che per fortuna non avvenne, in quanto il Borgo fin da subito attrasse numerosi turisti e visitatori. È entrato a far parte così dei Musei Civici della Città ed è sempre aperto.

Qui trovate tutte le informazioni utili per la vostra visita: www.borgomedievaletorino.it

Quando il Comando di Difesa aerospaziale nordamericano decise di tracciare… Babbo Natale!

È la vigilia di Natale del 1955. Il colonnello dell’Air Force Harry Shoup si trova nel suo ufficio nella sede del Comando di difesa aerea continentale (CONAD) in Colorado. Il telefono sulla sua scrivania squilla all’improvviso. Siamo in piena guerra fredda e se quel telefono squilla, vuol dire allora che è successo qualcosa di grave. L’unico ad avere il numero di quell’ufficio è un generale stellato del Pentagono.

Alza la cornetta e con voce decisa scandisce il suo nome: “Colonnello Harry Shoup”. Dall’altra parte silenzio. Passa qualche secondo e una vocina innocente chiede: “Sei tu Babbo Natale?”. Shoup sorpreso pensa sia uno scherzo, di cattivo gusto se consideriamo che quel numero dovrebbe essere utilizzato solo per annunciare eventuali attacchi aerei sul suolo statunitense. Ma dopo un po’ sente il bambino piangere. È allora che capisce che non è uno scherzo. Prova a stare al gioco e dice che sì, lui è Babbo Natale, e chiede al bambino se è stato buono per Natale. Allo stesso tempo chiede di parlare con sua madre la quale prontamente gli dice che sul giornale locale c’è un annuncio pubblicato dalla Sears Roebuck & Co. che suona più o meno così: “Bambini! Chiamatemi direttamente al mio numero natalizio. Chiamatemi al mio numero privato, che sia giorno o notte, risponderò personalmente”.

Ora immaginiamo un bambino che il giorno della vigilia scopre di poter parlare direttamente con Babbo Natale. Un sogno. E il colonnello non ha nessuna intenzione di infrangerlo. Si rende conto però che lì, sul giornale locale, svetta in bella mostra il suo numero di telefono segreto. O meglio un tempo segreto perché da quel momento i bambini non smettono di chiamare per parlare con Santa Claus.

Il colonnello ha un’idea. Assegna un ufficiale di servizio per rispondere a quelle chiamate e dire dove si trova in quel preciso momento Santa Claus. Dal 1958, quando il Comando di difesa aerea continentale si trasforma nel NORAD, (North American Aerospace Defense Command), ha inizio una tradizione che dura ancora tutt’oggi. Al tracciamento degli aerei per individuare una eventuale minaccia nemica, si affianca ora quello della slitta di Babbo Natale. Da allora, infatti, è possibile attraverso il sito del NORAD seguire le sue tracce.

E come accadde in quella vigilia di Natale del 1955, ogni anno la linea telefonica del NORAD è intasata di telefonate. Circa centomila chiamate di bambini che vogliono sapere solo una cosa: dov’è Babbo Natale?

Ed è così che da un errore tipografico nasce una storia di Natale e una traduzione lunga 67 anni. Harry Shoup passerà alla storia come il “Colonnello di Babbo Natale”.

Il sito ufficiale del NORAD dedicato a Santa Claus: Official NORAD Tracks Santa (noradsanta.org)

“Andrea Provana”: storia del sommergibile nel parco di Torino

Vi è mai capitato di passeggiare in un parco ed imbattervi in un sottomarino? Sì, lo so, suona strano, ma nel Parco del Valentino a Torino può accadere. Costeggiando il Po noterete questo sottomarino. In realtà si tratta della sezione centrale del sommergibile “Andrea Provana”, custodito nella sede dell’A.N.M.I. (l’Associazione Nazionale Marinai d’Italia) dedicata alla Medaglia d’oro Umberto Grosso.

Il sommergibile prende il nome dall’ammiraglio Andrea II Provana di Leynì che nel 1571 condusse la flotta sabauda nella battaglia di Lepanto contro l’Impero ottomano. Fu realizzato nel settembre del 1918 e non prese mai parte ad azioni belliche. Nel 1920 fu assegnato all’Accademia Navale di Livorno ed impiegato nell’addestramento degli allievi. Tre anni dopo fu impiegato di retroguardia durante la crisi di Corfù tra Grecia e Italia per difendere la flotta italiana da un eventuale contrattacco dei greci.

La sua breve vita si conclude il 30 marzo 1927. Mentre il sommergibile si trovava a Portoferraio (LI) ci fu uno scoppio causato dal motore diesel di dritta. L’incidente, che causò il ferimento di 6 uomini, ne decretò la sua fine. Trainato a La Spezia non fu neanche riparato. Ormai obsoleto, fu demolito e la sezione centrale fu messa in mostra durante l’esposizione mondiale del 1928 a Torino. Nel 1933 fu comprato dall’A.N.M.I. e collocato dove si trova ancora oggi.

Grazie agli sforzi dell’associazione, questo reperto storico-navale è tenuto in condizioni perfette seppur sia passato un secolo dalla sua realizzazione. Ho avuto il piacere di visitarlo ed al suo interno è ancora possibile ammirare la cabina di comando e la piccola cella dove riposava il comandante. Come potete vedere dalle foto, stupisce la sua tecnologia rudimentale.

Il sottomarino è possibile visitarlo previa prenotazione. Ve lo consiglio se passate da Torino.

Un grazie infinito all’A.N.M.I. di Torino per avermi permesso di visitarlo e per la loro disponibilità nel raccontarmi la sua storia.