Sir John Franklin è teso ma anche carico. Il compito ricevuto non è per niente facile: trovare il tanto agognato passaggio a Nord-Ovest. Per farlo la marina britannica gli ha messo a disposizione due navi di prim’ordine, l’Erebus e la Terror, e ben 128 uomini tra ufficiali ed equipaggio. Ma il capitano Franklin sa anche che quella spedizione può trasformarsi in una impresa memorabile, di quelle che cambiano per sempre il corso della storia.
Alle 10.30 del mattino del 19 maggio 1845 le navi levano le ancore, ruotano di 360 gradi, per controllare se le bussole funzionano, e si dirigono verso l’obiettivo. Quella spedizione rimarrà un’impresa solo sulla carta: perché due anni dopo, nel 1847, dell’Erebus, della Terror, del capitano Franklin e dei 128 uomini non si sa più nulla. Spariti. Nessuna traccia. È così che nasce il mistero della spedizione perduta di Franklin.
Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.
Per raccontare cosa accadde al capitano Franklin e ai suoi uomini ripercorreremo la storia di una delle due navi, l’Erebus, che nel bene e nel male ha lasciato un segno nella storia della navigazione.
Pembroke è una città del Galles occidentale. Ha quasi 900 anni di storia ed è famosa per il suo castello. Lì, infatti, nacque Enrico VII d’Inghilterra. Ma questa diremmo è storia antica, quello che ci interessa e che rende questa cittadina del Galles così importante per la nostra storia sono i suoi cantieri navali. Quei cantieri sfornarono circa 260 navi.
Il 7 giugno 1826, nel sesto anno del regno di Giorgio IV, dopo due anni di duro lavoro, finalmente i cantieri stanno per dare alla luce, o meglio dire all’acqua, visto che lì passera il resto della sua esistenza, una nave dal nome singolare: Erebus. Era stata commissionata nel 1823 e si trattava della penultima nave da guerra del tipo denominato “bombarda”.
Il nome Erebo deriva dalla mitologia greca dove indicava il tenebroso mondo sotterraneo, dimora dei defunti. Penserete non il nome migliore per una nave. Il suo compito principale e il motivo per cui è stata costruita è semplice. Senza la minaccia di Napoleone, morto ormai da 5 anni, e senza guerre all’orizzonte, questa nave dal nome nefasto deve presidiare gli scali commerciali nel Mediterraneo, infastidire i turchi e all’occorrenza trasportare carichi di valore.
L’11 dicembre 1827 il comandante George Haye della Royal Navy diventa il primo capitano dell’Erebus. Nei successivi tre anni svolge egregiamente il suo compito per poi, il 26 giugno 1830, tornare a Portsmouth. Giorgio IV è appena morto. Per l’Erebus è un giorno speciale: non sarebbe mai più stata una nave da guerra.
Sono passati 14 anni dal suo varo, e dopo 9 anni di pensionamento precoce, per l’Erebus è il momento di tornare in azione. Da anonima bombarda destinata a pattugliare il Mediterraneo, la marina britannica decide di affidarle un compito ben più rischioso ma al tempo stesso prestigioso.
Le attrezzature da nave guerra vengono smantellate. La nave deve essere più funzionale ma soprattutto resistente alle intemperie. Perché in questa nuova missione dovrà vedersela non con i pirati del Mediterraneo, bensì con le terre inesplorate e gelide dell’Antartide.
La prima metà dell’ottocento è ricca di spedizioni a fini scientifici. Le missioni sono finalizzate spesso allo studio del geomagnetismo, alla mappatura dei territori ancora sconosciuti e alla scoperta di nuove specie di animali e piante. E ci sono due luoghi del globo che conservano ancora tanti segreti ed attirano la curiosità degli scienziati. Uno di questi è proprio l’Antartide.
La marina britannica organizza le spedizioni e le affida all’Erebus e alla sua nave gemella, la Terror. Due navi che da quel momento in poi condivideranno per sempre il loro destino.
Nel settembre 1839 l’equipaggio dell’Erebus è al completo. 12 ufficiali, 18 sottoufficiali, 26 marinai e 7 marines, per un totale di 63 uomini. Circa la metà non aveva mai prestato servizio nella Royal Navy ma vantava qualche esperienza sulle baleniere.
Le due navi si spostano verso Sud-ovest. Non impiegano molto tempo e in 4 mesi registrano il primo record. Sabato 23 gennaio 1841 si spingono più a sud di qualsiasi essere umano. Per la precisione 74° 23’ S. Il record precedente di James Weddell era stato di 74° 15’ S. Soltanto il secolo successivo, a bordo della Nimrod, Ernest Shackleton avrebbe fatto meglio portando il record a 88° 23′ S.
La prima spedizione dell’Erebus e della Terror è un successo. Non solo per il record, ma per aver scoperto e battezzato nuove terre, isole, vulcani. Il tutto evitando incidenti, calamità o malattie.
Spinti dall’entusiasmo decidono di tentare una seconda spedizione. Il 23 febbraio riescono a migliorare il proprio record spingendosi sei miglia più a sud. Nessun’altro veliero sarebbe mai arrivato più a sud di loro. Nessuna nave avrebbe coperto quella distanza per almeno 60 anni. Il capitano Ross, con il suo record del 1827, poteva vantarsi di essersi spinto più a nord e più a sud di chiunque altro essere umano sulla terra.
Questa seconda spedizione, però, non è esente dai pericoli. Per evitare un iceberg le due navi si scontrano ripetutamente. L’Erebus perde 4 uomini.
Forse carichi di adrenalina per l’ennesimo record, si decide di tentare una terza spedizione. Il 17 dicembre 1842 prende il via il terzo viaggio in Antartide. Questa volta le cose non vanno come dovrebbero. Le condizioni del mare sono proibitive, farsi largo tra i ghiacci non è facile. A 480 miglia dalla distanza record devono ammettere la sconfitta.
I due velieri fanno rotta verso casa e la mattina di giovedì 7 settembre 1843 arrivano a Woolwich, nei pressi di Londra, e gettano le ancore. Le tre spedizioni, nonostante l’ultima non sia stata tanto fruttuosa come le prime due, vengono celebrate dalla società inglese. I capitani Ross e Crozier, dopo quattro anni in mare, sono stati in grado di spingersi più a sud di tutti e riportare indietro, dai limiti estremi del mondo, i due velieri. Si tratta di una impresa memorabile, di quelle che cambiano per sempre il corso della storia.
Arriva l’inverno, l’Inghilterra è avvolta dal gelo e i sudditi di sua maestà leggono un racconto appena pubblicato: “Canto di Natale” di Charles Dickens. Non è un caso che abbia nominato lo scrittore inglese. Perché in qualche modo, come sentiremo più avanti, Dickens prenderà parte alla nostra storia. L’Erebus, intanto, viene parcheggiata e ripulita. Per 4 anni è stata la casa di 63 uomini, ma adesso è tempo di riposarsi.
Sono passati due anni da quel natale del 1843. Mentre l’Erebus attende tranquilla il suo destino, la società è in fermento. A Londra la scena è tutta per Sir John Barrow. È uno scrittore ed esploratore. Membro della Royal Society e della Royal Geographical Society, è una vera e propria autorità. Riesce ad influenzare l’alta società e raccogliere consensi. Nel 1845 ha 81 anni e forse, proprio per la sua età, sa bene che deve giocarsi le sue ultime carte. C’è una cosa che lo ossessiona e che vorrebbe vederla realizzata prima di morire: trovare il tanto agognato passaggio a nord-ovest.
Spinge l’Ammiragliato e l’alta società a sostenere il suo progetto. Perché buttarsi in questa impresa? Per Barrow la risposta è semplice: trovare il passaggio a Nord-Ovest vorrebbe dire avere un vantaggio commerciale sulle altre potenze. Soprattutto lo si deve trovare prima che ci riescano i russi. Ricordiamo che l’Alaska, a quei tempi, era territorio russo e diverse spedizioni erano state organizzate per trovare un passaggio che, attraverso l’arcipelago artico canadese, collegasse gli oceani Atlantico e Pacifico. Ma non solo. Secondo Barrow, dato che la marina di sua maestà non era coinvolta in alcuna guerra, questa spedizione sarebbe stata un ottimo banco di prova per gli ufficiali. Insomma, una sorta di tirocinio lontano da casa e in mezzo ai ghiacci. E poi, perché no, per Barrow c’erano anche altri vantaggi. La spedizione sarebbe durata solo un anno ad un terzo del costo della spedizione conclusasi due anni prima in Antartide. Ciliegina sulla torta: questa spedizione avrebbe dato una spinta notevole alla mappatura magnetica del globo.
Che dire? Barrow era influente, conosceva le persone giuste, e l’ammiragliato accettò la sfida. Nel mondo dello sport si dice: squadra che vince non si cambia. Per l’ammiragliato è lo stesso. Questa impresa è adatta all’Erebus e alla Terror.
Nel 1845 l’Erebus e la Terror sono le due navi più resistenti e affidabili della marina britannica per un viaggio tra i ghiacci. Occorrono solo dei piccoli ritocchi: rinforzare scafo e ponti per esempio, o rendere impermeabili i parapetti. Tutto quello che funzionò in Antartide non va cambiato. C’è però una piccola aggiunta. Sulla nave viene installato un sistema di eliche azionate a vapore, uno dei primi applicati a navi da guerra con scafo in legno. Un motore con una capacità di 25 cavalli per muoversi tra i ghiacci. Avveniristico, ma se pensiamo che una rompighiaccio oggi ha almeno 40mila cavalli, ci rendiamo conto di quanto fosse difficile quella impresa.
Individuate le navi, ora occorre mettere insieme un equipaggio. La nuova squadra è composta da 129 uomini tra ufficiali ed equipaggio. Di questi, solo 9 uomini sono stati in Antartide. Sull’Erebus c’erano 68 uomini con una età media di 28 anni. Di ognuno di loro abbiamo nome e cognome, degli ufficiali dell’Erebus abbiamo anche dei ritratti scattati dal fotografo William Beard e pubblicati sul numero dell’lllustrated London News nel settembre 1851.
Non c’erano solo uomini. Perché sulle due navi, come animali da compagnia, c’erano anche un cane, Nettuno, una scimmia, Jacko, e un gatto. Quest’ultimo in realtà imbarcato per dare la caccia ai topi.
Al capitano Fitzjames viene affidato il comando dell’Erebus, mentre il capitano Crozier viene nominato vice comandante della spedizione e comandante della Terror. Sir John Franklin riceve l’incarico di dirigere la spedizione.
Per sopravvivere in mezzo ai ghiacci, l’Ammiragliato rifornisce le navi con tutti i beni necessari. Scopriamo che sulle navi vengono caricati oltre dieci quintali di candele, centinaia di lampade e poi cibo, come gallette, farina, carne, zucchero, cioccolata, oltre venti quintali di succo di limone per combattere lo scorbuto. 8000 barattoli di carne conservata. 3 tonnellate di tabacco e 200 galloni di vino. Le navi devono fungere anche da laboratori scientifici all’avanguardia. A bordo troviamo strumenti avanzatissimi per studiare il magnetismo, la geologia, la botanica e la zoologia. Per intrattenere l’equipaggio vengono preparate lezioni serali con tanto di carta, penne, inchiostro, lavagnette e libri di aritmetica. E poi per il tempo libero testi religiosi, riviste scientifiche, satiriche o resoconti di precedenti viaggi. A bordo si preparano e mettono in scena anche dei drammi teatrali e si stampa perfino un giornale.
Le istruzioni per gli ufficiali sono chiare. Devono usare i motori solo in circostanze difficili. Qualsiasi eschimese o indiano dovrà essere trattato da amico e dovrà ricevere dei doni. I membri dell’equipaggio ricevono 4 mensilità in anticipo con paga doppia perché vanno in Artide. Il resto del compenso viene inviato alle famiglie. C’è anche un premio di 20.000 sterline se raggiungono l’obiettivo.
Per tenere traccia degli spostamenti, l’Ammiragliato ordina di lasciar cadere regolarmente in acqua dei cilindretti di latta dove deve essere indicata la loro posizione. Le relazioni contenute in questi cilindri vanno scritte su una carta azzurra particolare e le istruzioni redatte in sei lingue: inglese, francese, spagnolo, olandese, danese e tedesco. Chiunque avesse trovato il cilindro doveva farlo avere al Segretario dell’Ammiragliato a Londra. L’unico ad essere mai ritrovato arrivò 4 anni dopo sulla costa della Groenlandia. A meno di 200 miglia da dove era stato fatto cadere.
È così che ci ritroviamo in quel momento descritto all’inizio di questo episodio. Sono le 10:30 del mattino del 19 maggio 1845. Non tutti gli uomini sono nelle condizioni per viaggiare. La Barretto Junior, la nave di supporto che scorta le due navi in mare aperto, porta indietro alcuni uomini perché stanno troppo male. Sull’Erebus restano in 67, mentre sulla Terror sono in 62. Alcuni marinai, previdenti, si fanno tatuare il loro nome sulle braccia. Non una cosa insolita per quei tempi. Lo si faceva nel caso avessero trovato il loro corpo mutilato. Le navi finalmente prendono il largo e si dirigono verso il Canada.
Il 13 luglio 1845 puntano verso lo stretto di Lancaster. La loro avanzata viene registrata da una serie di imbarcazioni che si imbattono nelle due navi. Il 26 luglio 1845 avviene l’ultimo avvistamento ufficiale delle due navi fatto dal capitano Dannet della Prince of Wales.
E poi? Passano due anni e dell’Erebus, della Terror e dell’equipaggio nessuna notizia. Barrow, lo ricordiamo, aveva detto che ci sarebbe voluto solo un anno. E invece ne sono passati due. In patria si oscilla tra preoccupazione e disperazione. L’Ammiragliato non può restare indifferente alle continue richieste di ricerche. Bisogna mandare qualcuno a cercare Franklin e i suoi. Chissà non sono morti, chissà sono lì, intrappolati tra i ghiacci, hanno abbandonato le navi e non possono ritornare.
Si organizzano per l’inverno del 1847-1848 tre spedizioni di soccorso. L’idea è ripercorrere la rotta delle navi in cerca di qualche indizio, magari proprio quei bussolotti che devono lasciar cadere ogni tanto. Sulla carta sembra facile, la realtà è diversa. Gli inverni successivi alla spedizione del 1845 sono stati particolarmente rigidi. I passaggi marittimi sono bloccati ed è impossibile sostare in quelle condizioni. Alle difficili condizioni climatiche si sommano anche le notizie di falsi avvistamenti e messaggi.
Si prova a chiedere aiuto alle altre nazioni. Se lo zar Nicola si mostra sordo alle richieste, gli Stati Uniti d’America nel 1850 mettono a disposizione due imbarcazioni per le ricerche.
È proprio in quell’anno, il 23 agosto per essere precisi, che la nave HMS Assistance trova le prime tracce della spedizione di Franklin sull’isola di Devon. Frammenti di provviste navali, lattine di carne, abiti stracciati. Non lontano da lì, sull’isoletta di Beechey Island fanno un’altra scoperta. Sulla spiaggia notano 3 lapidi. Sono quelle di John Torrington primo fuochista della Terror, morto il 1 gennaio 1846 all’età di 20 anni; di John Hartnell marinaio di prima classe morto a 25 anni il 4 gennaio 1846 e di William Braine, marine morto il 3 aprile 1846, entrambi arruolati sull’Erebus. Non è molto, ma di tre uomini si sa il loro destino. E se ci sono delle tombe, vuol dire che altri membri dell’equipaggio in quel momento erano ancora vivi. Almeno, stando alle date sulle lapidi, fino all’aprile del 1846.
Il tempo passa e la situazione in patria sta cambiando. John Barrow è morto e la Gran Bretagna, nel 1853, si trova coinvolta nella guerra di Crimea contro l’impero russo. Per le ricerche di soccorso sono state spese già 700mila sterline, circa 39 milioni di dollari odierni. Per quei tempi una enormità e con la guerra in ballo un lusso che l’impero britannico non può più permettersi.
Il 20 gennaio 1854 l’Ammiragliato annuncia che se prima di marzo non avessero ricevuto notizie di sopravvissuti, gli uomini delle due navi sarebbero stati rimossi dagli elenchi della Marina e dichiarati caduti al servizio di sua maestà.
Gli sforzi per trovare i superstiti non si arrestano. Sempre in quegli anni, l’esploratore britannico John Rae sta compiendo alcuni rilevamenti nell’arcipelago artico canadese. Il 21 aprile si imbatte in un eschimese a bordo di una slitta. È un incontro prezioso perché viene a sapere che un gruppo di inuit ha trovato diversi corpi di uomini bianchi morti. Alcuni hanno perfino avvistato 40 uomini dirigersi verso sud dall’isola di re Guglielmo 4 anni prima, nel 1850 dunque. Questo gruppo di uomini ha raccontato, agli inuit, di aver abbandonato le proprie navi e di essersi diretto a sud in cerca di cibo.
Questi però sono solo racconti, servono delle prove concrete. Rae scopre che gli inuit non mentono perché acquista proprio da loro alcuni oggetti che questi hanno rinvenuto sulle coste. In effetti si tratta di stoviglie, utensili, o altri oggetti, imbarcati sulle due navi. Su alcune posate ci sono addirittura le iniziali degli ufficiali. C’è però una ulteriore rivelazione che avrà un’eco sulla società britannica e sul destino di Rae. Quando gli inuit rinvennero i corpi di 35 uomini, notarono che dallo stato di mutilazione e dal contenuto dei recipienti per cucinare, quegli uomini si spinsero al cannibalismo.
Rae raccoglie tutte queste informazioni e le consegna all’Ammiragliato. Quest’ultima notizia sul cannibalismo però finisce nelle mani dei giornalisti del Times che non perdono l’occasione per pubblicarla. Una volta in prima pagina scoppia il caos.
Una ondata di terrore e repulsione investe la società. Le rivelazioni di Rae vengono respinte da tutti. Charles Dickens, eccolo che ritorna nella nostra storia, sul settimanale Household Words difende l’equipaggio da queste illazioni elogiando il loro senso del dovere e coraggio.
Per Rae purtroppo è la fine. Viene diffamato pubblicamente. Nonostante avesse trovato delle tracce della spedizione, le istituzioni provano in tutti i modi a negargli il premio di 10mila sterline. Alla fine lo ottiene ma senza alcun riconoscimento pubblico. La carriera di Rae è rovinata. Non importa se alle spalle ha un trascorso da esploratore esperto ed ha mappato circa 1750 miglia di territorio inesplorato perdendo solo un uomo. Per la società del tempo le sue dichiarazioni sono inammissibili. In molti dicono che Franklin e i suoi uomini sono morti da nobili eroi cristiani, non da bestie selvagge.
Nonostante le rivelazioni di Rae, c’è ancora qualcuno che non si dà pace. Con una sottoscrizione pubblica di 3mila sterline si equipaggia uno yacht a vapore a tre alberi, la Fox. Più piccola e maneggevole dell’Erebus, non dovrebbe avere problemi tra i ghiacci. Nel luglio del 1857 prende il via questa ennesima spedizione di ricerche. Sono ancora una volta gli inuit a dare informazioni preziose. Hanno visto una nave a tre alberi sprofondata a ovest dell’isola di re Guglielmo ed hanno altri reperti da vendere. La Fox decide di investigare su quell’isola inospitale e desolata, dove il termometro segna i -30.
Passano due anni e nel maggio del 1859 la Fox rinviene i resti di un accampamento proprio dove avevano detto gli inuit. Trovano pelli d’orso, alcune coperte spiegate, fornelli, bussole, tabacco. Ma è il 5 maggio che fanno un ritrovamento eccezionale. Scoprono un altro accampamento e trovano un cilindro con il resoconto della spedizione perduta. È noto come il biglietto di “Victory Point” e riporta la data del 28 maggio 1847. È scritto in sei lingue. Riporta le coordinate esatte dove le navi hanno trascorso l’inverno. C’è anche un laconico “tutto bene”. Apprendiamo che due ufficiali e 6 uomini hanno abbandonato le navi il 24 maggio 1847. Il biglietto è firmato da Fitzjames.
Questo biglietto ha un valore immenso. Perché finalmente si ha una prova tangibile scritta direttamente da chi era su quelle navi. Le date però non convincono. L’inverno trascorso sull’isola di Beechey era quello del 1845-46 e non il 1846-47. Forse un lapsus, o un segno che i membri dell’equipaggio erano ormai disorientati.
Ma leggendo il biglietto di Victory Point possiamo notare un altro messaggio scritto ai margini. Scopriamo che le due navi sono state abbandonate il 22 aprile perché bloccate tra i ghiacci dal 12 settembre 1846. “105 uomini sotto il comando di Crozier sono giunti sin qui. Sir John Franklin è morto l’11 giugno 1847. In totale sono morti 9 ufficiali e 15 uomini dell’equipaggio”.
Piano piano il puzzle sta prendendo forma e gli indizi disseminati dai membri dell’equipaggio aiutano a ricostruire le vicende di quelle due navi. Il 24 maggio 1859 la Fox scopre una barca sepolta dalla neve. Trovano le ossa di alcuni uomini e uno scheletro. Dalla neve spunta fuori un taccuino con scritti e disegni indecifrabili. C’è all’interno un certificato di un marinaio di nome Henry Peglar. Noto con il nome di “Peglar papers” si cerca di capire se possa essere in qualche modo utile per ottenere altre informazioni. Purtroppo le frasi scritte e i frammenti di lettere sembrano senza senso. Ad un certo punto si menziona “un morto che era stato a Trafalgar”. Cercando negli archivi e tra i nomi degli uomini impegnati su quelle navi, l’unico che aveva preso parte alla battaglia navale del 21 ottobre 1805 era proprio Sir Franklin.
Il 23 settembre 1859 la Fox torna a Londra con il suo prezioso bottino di reperti e notizie. Il paese può finalmente piangere i suoi morti. Il progetto del signor Barrow si era trasformato in una catastrofe.
Una volta accertata la fine tragica di Franklin e i suoi, i contemporanei e gli studiosi degli anni a venire si sono interrogati sui fattori che minarono la riuscita di quella spedizione.
Partiamo dal primo elemento, forse il più banale: il freddo. Sì, sembra scontato visto che parliamo di una spedizione nell’arcipelago artico, ma per loro sfortuna, gli equipaggi della Erebus e della Terror dovettero superare uno degli inverni più freddi nell’Artide a memoria d’uomo. Mesi di totale oscurità, bloccati dai ghiacci e con un freddo così intenso da staccarti la pelle, come raccontato da chi in quei posti c’era già stato ed era anche riuscito a ritornare a casa. In aggiunta, le mappe a loro disposizione erano spesso approssimative e non molto dettagliate. Un altro errore fu quello di non chiedere informazioni o aiuto agli inuit, gli unici essere umani in grado di destreggiarsi in quelle terre.
Un secondo elemento è, secondo Clements Markham presidente della Royal Geographical Society ed esploratore polare, la qualità del cibo in scatola. La colpa fu della carne che non era adatta al consumo umano e che avrebbe avvelenato parte dell’equipaggio ancor prima della partenza. Per chi segue questo podcast dall’inizio sembra di riascoltare la vicenda dello scandalo del manzo imbalsamato. Una storia che vi invito ad ascoltare se l’avete persa. Diverse teorie sostengono che, a causa della fretta per il ritardo nella consegna, fu inscatolato cibo andato a male. (Qualcuno crede che la ditta che vinse l’appalto offrì un prezzo vantaggioso proprio per via della qualità scadente). Nel 1984 alcuni esami sulle prime tre vittime trovate hanno evidenziato alti livelli di piombo. Probabilmente il piombo utilizzato per sigillare le lattine avrebbe contaminato il cibo e ucciso l’equipaggio.
Dobbiamo considerare che il cibo in scatola era un lusso per quei tempi. Dunque era un cibo servito per lo più agli ufficiali. Secondo il biglietto del Victory point sappiamo che morirono 9 ufficiali. Un numero molto alto che potrebbe confermare la tesi del cibo in scatola. Oppure, come sostengono altri, il piombo proveniva dal sistema di acqua calda dotato di serbatoi e tubature in piombo. Chi segue questa seconda teoria sostiene che gli ufficiali morivano più facilmente perché andavano spesso a caccia ed erano esposti alle intemperie.
Il cibo in scatola non è l’unico indiziato. Pare che anche il succo di limone fosse stato preparato male ed era inutile per evitare lo scorbuto. Alcuni inuit videro uomini bianchi con i denti marci e le gengive gonfie, segni tipici dello scorbuto.
Si aggiunse un’altra malattia. Dagli esami fatti su un’unghia di un uomo dell’equipaggio si è scoperto che morì di tubercolosi. Prima della partenza, abbiamo notizie di un membro dell’equipaggio affetto da tubercolosi e riportato a terra per evitare un possibile contagio a bordo.
Nei primi anni Ottanta l’antropologo Owen Beattie riportò alla luce alcuni femori con tracce di coltelli che suggerivano, come dichiarò Rae, il cannibalismo. Riesumò il corpo di John Torrington, il primo fuochista della Terror la cui tomba fu trovata sull’isola di Beechey. Gli scattò una foto che possiamo trovare facilmente su internet. Colpisce perché il suo volto mummificato è stato conservato perfettamente dal gelo. Beattie notò che dal torace all’addome aveva una Y, segno di una autopsia. Probabilmente il medico di bordo temeva che fosse morto di una malattia contagiosa.
C’è poi un’altra scoperta fatta dagli studiosi analizzando alcuni resti ossei. È emerso da alcuni studi del DNA che mancava il cromosoma Y, dunque su quelle due navi ci dovevano essere anche delle donne. Sembra strano, ma in realtà non era così inusuale. Ci sono casi documentati di donne che si travestirono da uomini e presero parte a battaglie o spedizioni. A una di queste donne, Jane Dieulafoy, o anche dedicato un episodio del podcast.
Le cause di morte e gli ultimi giorni di quegli uomini sono ancora oggetto di discussione. Nonostante siano passati oltre 150 anni da quella tragica spedizione, gli studi e le ricerche continuano.
Baia di Wilmot e Crampton, Nunavut, Canada, 2 settembre 2014. L’Investigator è una piccola barca con lo scafo di alluminio. Si muove lenta in mare e trascina un towfish, una specie di siluro metallico che invia e riceve onde sonore. Gli scienziati lo usano per le rilevazioni del fondale marino. L’Investigator ha appena rilevato una nave sul fondo del mare. Lo scafo è intero, tranne la poppa che appare sfondata. Le travi del ponte sono ricoperte di vegetazione acquatica. Quella nave è l’Erebus. Un team di sommozzatori è riuscito ad estrarre, da una piccola sezione della nave, circa 350 reperti che possono aiutare a capire meglio come era la vita sulla nave, nonché gli ultimi giorni dei membri dell’equipaggio. Due anni dopo, nel 2016, è stata ritrovata anche la Terror.
Quelle due navi che avevano fatto la storia raggiungendo le estremità più inesplorate della terra giacciono lì in fondo al mare. Non riuscirono nella loro ultima impresa: trovare il passaggio a Nord-Ovest. In termini di vite umane, quella che poi è passata alla storia come “la spedizione perduta di Franklin”, fu la perdita più immane della storia delle esplorazioni polari britanniche.
Siamo giunti al termine di quest’episodio, vi ringrazio per l’ascolto. Se volete approfondire la vicenda dell’Erebus vi consiglio il libro “Il mistero dell’Erebus” scritto da Michael Palin ed edito da Neri Pozza. Nel libro vi sono degli estratti dai diari di bordo degli ufficiali e si può avere una idea di come fosse la vita sulle navi. Su internet si trovano anche alcuni video delle due navi scoperte nel 2014 e 2016. In descrizione vi lascio il link al sito del museo canadese di storia dove potete vedere e leggere il biglietto del Victory Point. Per gli amanti del genere, c’è anche una serie tv dedicata ad una delle due navi dal titolo “The terror”.
Se vi è piaciuta questa storia, vi invito a condividere il podcast, a lasciare un commento o una recensione. Iscrivetevi al canale per non perdere i nuovi episodi. In cerca di storie è sulle maggiori piattaforme di podcast nonché su Instagram e Twitter. Inoltre, sul sito incercadistorie.com trovate le trascrizioni di tutti gli episodi. Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!
Articoli e libri per questo podcast
– “Il mistero dell’Erebus” di Michael Palin – Neri Pozza Editore
– “Ship found in Arctic 168 years after doomed Northwest Passage attempt di Paul Watson” – The Guardian
– “Divers Recover More Than 350 Artifacts From the HMS ‘Erebus’ Shipwreck” di Megan Gannon – Smithsonian magazine
– Sul biglietto del Victory point: “A very special piece of paper” di Sylvain Raymond – Museo canadese di storia https://www.historymuseum.ca/blog/a-very-special-piece-of-paper/
– “The animals of the Franklin Expedition” di Ash Abraham – Canadian Geographic
– “What happened to HMS Erebus and Terror?” – Royal Museums Greenwich