Per raccontare una storia, si può partire da un libro, ad esempio l’episodio sullo scandalo del manzo imbalsamato; oppure da un film, come il caso della nave sepolta di Sutton Hoo. O magari, come in questo episodio, da una canzone.
“Sono solo un soldato bisonte. Rapito in Africa e portato in America. Costretto a combattere all’arrivo e per sopravvivere”. Con le parole di Bob Marley andiamo alla ricerca della storia dei Buffalo soldiers.
Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.
Buffalo soldier. Due parole. Un titolo semplice e un testo neanche così complesso. Si tratta di un singolo di Bob Marley & The Wailers estratto dall’album postumo Confrontation, pubblicato nel 1983. La canzone parla di un soldato nero, strappato dall’Africa e portato in America. Ma chi erano questi buffalo soldiers? E perché, ancora oggi, il loro nome riecheggia nelle lotte per i diritti civili delle comunità afroamericane?
Per scoprirlo dobbiamo lasciare il 1983 e spostarci negli Stati Uniti d’America, ai tempi della Guerra Civile, ben più di un secolo prima di Bob Marley e della sua canzone.
L’origine di questi Buffalo soldiers, o “soldati bisonti”, affonda le sue radici nella guerra di secessione americana. Siamo negli anni tra il 1861 e il 1865 e l’esercito unionista ha nelle sue file circa 180 mila soldati afroamericani. Soldati valorosi che, al comando dei loro ufficiali (bianchi per essere precisi), dimostrano grande coraggio e determinazione in battaglia. Finita la guerra civile, il governo emana l’Army Organization Act, una legge che raddoppia le dimensioni dell’esercito regolare, e decide nel 1866 di formare unità dell’esercito composte unicamente da uomini di colore. Due reggimenti di cavalleria (il 9° e il 10°) e quattro di fanteria, poi ridotti a due (il 24° e 25°). Si tratta dei primi soldati neri professionisti nell’esercito degli Stati Uniti. Ma se la guerra fratricida è ormai alle spalle, dove impiegare questi nuovi reggimenti?
Siamo oltre la metà del XIX secolo e gli Stati Uniti d’America sono un Paese in espansione. Non solo commerciale, ma soprattutto territoriale. Ad ovest ci sono immensi territori da conquistare o difendere. Ma da chi? Dai loro legittimi proprietari, gli indiani d’America, che provano strenuamente a fermare questa avanzata.
Ecco che il 9° reggimento della cavalleria riceve il compito di pattugliare la strada che collega San Antonio e El Paso e il confine con il Rio Grande. Pattugliare vuol dire difendere le diligenze, scortare la posta, proteggere gli insediamenti non solo dai nativi americani, esasperati dagli espropri e dalle promesse mancate del governo, ma anche dai banditi e dai ladri di bestiame. Il 10° reggimento, invece, viene dislocato a Fort Riley, in Kansas, con il compito di difendere la Pacific Railroad, la grande linea ferroviaria che in quegli anni sta prendendo vita.
12 settembre 1868. Horsehead Hills, Texas. Il tenente Cusack a capo di un guarnigione di 60 uomini ha sorpreso un grande gruppo di indiani uccidendo 25 persone e catturando tutti i loro cavalli, pony e rifornimenti. Un uomo è rimasto ferito nelle operazioni.
Questo è uno dei tanti resoconti delle operazioni nelle quali questi reggimenti erano coinvolti. Li possiamo trovare sul sito del centro di storia militare degli Stati Uniti d’America. È un susseguirsi di attacchi e contrattacchi. Accampamenti distrutti, cavalli catturati e uomini, da ambo le parti, uccisi. Spesso si tratta di scontri con le tribù locali indiane. Si stima che circa il 20% delle truppe di cavalleria statunitensi che parteciparono alle guerre contro gli indiani erano buffalo soldiers e che presero parte ad almeno 177 conflitti.
Il loro nome lo devono proprio ai nativi americani. Sull’origine ci sono due teorie: la più accreditata sostiene che gli indiani Comanche, colpiti dalla durezza e dal valore in battaglia, avessero dato agli uomini del 10° reggimento il nome di un animale che loro veneravano e rispettavano, il bisonte appunto. Soprannome in seguito utilizzato anche per il 9° reggimento. La seconda tesi, invece, sostiene che agli occhi degli indiani, i capelli neri, ricci e folti dei soldati, ricordassero proprio la pelliccia del bisonte. Il 10° reggimento decise di raffigurare nel suo stemma la figura di un bisonte.
Nel 1890, piegata ormai la resistenza dei nativi, per i buffalo soldiers è tempo di cimentarsi in una nuova guerra. Questa volta è contro gli spagnoli. Nel 1898 vengono mandati in Florida e prendono parte ai combattimenti durante la guerra ispano-americana. A Cuba, si mettono in mostra durante la battaglia sulle colline di San Juan. Per 48 ore resistono sotto il fuoco nemico. Nel 1899 è la volta dell’insurrezione nelle Filippine. Tra il 1916 e il 1917, questi reggimenti vengono mandati in Messico per combattere contro i rivoluzionari di Pancho Villa.
Non ci sono solo le guerre. Nella seconda metà del XIX il governo americano, preoccupato per l’espansione selvaggia, decide di occuparsi della tutela del paesaggio naturale. Laghi, boschi, fauna selvatica. Si tratta di un bene prezioso che va preservato. L’impatto ambientale dovuto all’espansione è alto. I buffalo soldiers, dunque, vengono arruolati come Park Rangers nei parchi nazionali alla fine del 1890. Il loro compito è controllare e spegnere gli incendi, scovare e bloccare i pascoli abusivi, i bracconieri e i taglialegna. Ma anche costruire strade e sentieri. Circa 500 Buffalo Soldiers servirono come Park Rangers nei parchi nazionali di Yosemite, Sequoia, General Grant e alle Hawaii, a cavallo tra la fine del XIX secolo e gli inizi del XX secolo.
L’esperienza nei parchi serve al governo americano per effettuare anche alcuni esperimenti. Ad esempio, proprio i buffalo soldiers furono impiegati nei test sull’utilizzo delle biciclette negli scenari di guerra. Nasce così il 25° Corpo ciclistico di fanteria, il primo del suo genere nell’esercito degli Stati Uniti. Interamente composto da soldati neri e comandato da un ufficiale bianco, il tenente James Moss.
La fine per i buffalo soldiers coincide con la campagna in Messico contro Pancho Villa. Il nome verrà ereditato dai soldati neri che combattono durante le due guerre mondiali. La 92^ divisione di fanteria, impiegata nel 1945 sul fronte italiano, sfoggerà sulla divisa come emblema un bisonte nero su sfondo verde in ricordo di questi soldati di frontiera. In Italia, a Sommocolonia, piccola frazione di Barga, un comune della provincia di Lucca, ci sono ancora dei monumenti che testimoniano il loro sacrificio per liberare l’Italia dal dominio nazi-fascista. Sommocolonia, infatti, fu teatro di uno scontro tra truppe americane (sostenute dai partigiani) e forze italo-tedesche.
Nel 1948 è il presidente Truman a mettere la parola fine alla segregazione nell’esercito americano. Gli ultimi reparti composti unicamente da soldati neri vengono sciolti nel 1951 e i soldati integrati in altre unità. L’ultimo Buffalo soldier vivente, Mark Matthews, è morto a Washington D.C., nel 2005, all’età di 111 anni.
La storia dei buffalo soldiers ci spinge ad alcune osservazioni. Questi soldati furono impiegati spesso per fare il cosiddetto lavoro sporco. Come detto, quando vennero creati i reggimenti di cavalleria e fanteria unicamente composti da soldati neri, il governo decise di affidare loro il compito più difficile: avventurarsi e proteggere i territori ad ovest. Parliamo di zone dove la legge era pressoché inesistente.
Per avere una idea di chi fossero, possiamo consultare gli archivi del Museo nazionale dei buffalo soldiers di Houston. Il sito del museo ha un database dettagliato con tanto di nomi, età, professioni di provenienza e cause di morte. Scopriamo così che James Henson, un contadino del Kentucky, arruolato nel 10° cavalleria è morto a 21 anni di tifo. Una lista infinita di nomi. Colpisce la giovane età di questi uomini. Spesso non superano i 25 anni.
La loro genesi e storia sono legate a doppio filo alla segregazione e al razzismo. I neri, reduci dalla esperienza drammatica della schiavitù, vogliono solo più diritti ed essere finalmente riconosciuti come esseri umani (e non oggetti) e trattati come i bianchi. La loro è una doppia lotta: sul campo di battaglia, contro indiani, malviventi o rivoluzionari, e sul piano dei diritti civili. Una lotta che continua ancora oggi, nonostante i grandi passi fatti negli ultimi due secoli. Ma allora, all’indomani della fine della Guerra Civile, il governo americano apre alle richieste dei neri con la segregazione nell’esercito. Per giunta, ordina a questi nuovi reggimenti di combattere un’altra minoranza che non ha diritti e sta pian piano scomparendo: i nativi americani. Sembra quasi di assistere a una guerra fra poveri. Da un lato i neri, trapiantati con la forza negli Stati Uniti e in cerca di legittimazione; dall’altro gli indiani d’America, su quel territorio da tempo, vittime di espropri, stermini e confinati nelle riserve.
La loro storia è costellata da episodi di razzismo. Un reggimento composto da neri ma comandato da bianchi. Era questa la regola. Spesso, però, gli ufficiali si rifiutavano di essere assegnati a questi reggimenti. Tra questi ricordiamo George Armstrong Custer. Sì, proprio il Custer massacrato, insieme ai suoi fratelli e commilitoni, durante la battaglia di Little Bighorn dagli indiani, il 25 giugno 1876. Custer rifiutò il comando dei buffalo soldiers, nonostante questo gli avrebbe permesso di ottenere una promozione. Tutti lo conosciamo come il generale Custer, ma in realtà non raggiunse veramente quel grado. Il suo era solo un brevetto.
Questa regola, di ufficiali bianchi e truppe nere, aveva anche delle eccezioni. È il caso della truppa L del 9° cavalleria. Questi ranger del parco erano comandati dal capitano Charles Young, il più alto ufficiale afroamericano dell’esercito degli Stati Uniti all’epoca. Alla guida dei Buffalo soldiers fu assegnato anche Henry Ossian Flipper, passato alla storia per essere stato il primo afroamericano a laurearsi alla accademia militare di West Point. Divenne il primo ufficiale non bianco a guidare i Buffalo soldiers del 10° Cavalleria.
Ma il razzismo non era solo all’interno dell’esercito. Questi soldati subirono numerosi attacchi e discriminazioni anche dalle popolazioni locali che dovevano difendere. Si decise di inviarli, per evitare disordini, ad ovest del Mississipi, lontano dagli ex stati confederati. In Texas si registrarono alcuni scontri con i cittadini locali. Ironia della sorte, proprio in quello stato, a Houston, c’è il museo dei Buffalo soldiers.
Come testimoniato dal loro soprannome ricevuto dagli indiani, i Buffalo soldiers si distinsero per il loro gran coraggio e valore in battaglia. Premiati più volte con le medaglie d’Onore del Congresso Americano. Oltre al già citato a Barga, monumenti dedicati a loro si trovano in Kansas e a Junction City, negli Stati Uniti d’America.
Siamo giunti al termine di quest’episodio, vi ringrazio per l’ascolto. Come sempre vi lascio in descrizione le fonti consultate per questo episodio. La prossima volta che ascolterete la canzone di Bob Marley pensate alla storia che si cela dietro il suo testo. Se vi è piaciuta questa storia, vi invito a condividere il podcast, a lasciare un commento o una recensione. Iscrivetevi al canale per non perdere i nuovi episodi. In cerca di storie è sulle maggiori piattaforme di podcast nonché su Instagram e Twitter. Inoltre, sul sito incercadistorie.com trovate le trascrizioni di tutti gli episodi. Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!
Fonti per questo podcast
– “Why Buffalo Soldiers Served Among the Nation’s First Park Rangers” di Alexis Clark – History.com
– “Who Were the Buffalo Soldiers?” di Elizabeth Nix – History.com
– “25th infantry bicycle corps (1896-97)” di Caelen Anacker – blackpast.org
– “Uno straordinario spettacolo sui partigiani e i buffalo soldier” di Mario Cossali – Anpi.it
– “Ninth Regiment of Cavalry” – history.army.mil
– “Buffalo soldiers: gloria (con qualche dubbio) dei neri nell’esercito Usa” di Silvia Morosi e Paolo Rastelli – Poche Storie
– Il sito del museo nazionale dei Buffalo soldiers di Houston: http://www.buffalosoldiermuseum.com