Immaginate di dovervi sottoporre ad un intervento di rinoplastica. Il chirurgo vi illustra il metodo che utilizzerà. Taglierà un lembo di pelle dal braccio sinistro, lasciando un lato ancora attaccato, vi chiederà poi di avvicinare il braccio alla faccia così da poter applicare il lembo tagliato sul vostro naso. Infine, affinché attecchisca bene, vi chiederà di rimanere in quella posizione per un po’ di tempo. Diciamo per settimane. Forse anche mesi.
Ecco se dovesse succedere, scappate. Perché il metodo appena descritto sembra più una tortura eseguita da un chirurgo sadico che un intervento di chirurgia plastica. Eppure questo metodo, passato alla storia con il nome di “metodo italiano”, è realmente esistito. Colui che affinò questa tecnica rendendola famosa in tutto il mondo è considerato ancora oggi uno dei padri della moderna chirurgia estetica. Questa è la storia di Gaspare Tagliacozzi.
Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.
Se visitate l’Archiginnasio di Bologna, un tempo sede dell’antica Università ed ora della Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio, noterete una statua un po’ particolare all’interno della sala di anatomia. Non è tanto il personaggio ritratto a colpire, quanto l’oggetto che stringe tra le dita della mano sinistra: un naso. Sì, quella è la statua di Gaspare Tagliacozzi e non è un caso che si trovi proprio lì, perché la sua fama di chirurgo nacque tra le mura di quella università.
La sua data di nascita è stata a lungo dibattuta. Molto probabilmente nacque a Bologna tra il febbraio e il marzo del 1545. I Tagliacozzi non hanno un’origine nobiliare ma sono abbastanza benestanti e vantano una buona posizione all’interno del ceto degli artigiani. Nel 1565 inizia i suoi studi di medicina presso l’università di Bologna, una delle più antiche e prestigiose. Ha ottimi insegnanti tra cui Girolamo Cardano, Ulisse Aldrovandi e Giulio Cesare Aranzi, quest’ultimo sarà colui che gli insegnerà le tecniche della chirurgia facciale.
La teoria da sola non serve, soprattutto quando parliamo di chirurgia. Le tecniche si imparano sul campo e Tagliacozzi fa pratica come assistente presso l’ospedale di S. Maria della morte, che deve il suo nome all’assistenza offerta ai carcerati e ai condannati a morte. Ed è lì che tra diagnosi, visite, farmaci, piccole operazioni chirurgiche e dissezioni, impara tutto quello che serve. Nel 1570 si laurea e nel giro di dieci anni la sua fama di medico cresce sempre di più. Diventa famoso negli ambienti nobiliari, soprattutto dopo aver curato una ferita al braccio del conte Paolo Emilio Boschetti. Da Bologna a Firenze, passando per Modena e Ferrara, Tagliacozzi è noto per essere un esperto di ricostruzioni facciali.
Per fare un paragone con l’attualità era una specie di chirurgo delle star. Nel 1583 una cortigiana viene sfigurata da un amante. L’aspetto estetico, allora come oggi, era importante. E chi meglio di Tagliacozzi per ricostruire il suo volto? L’anno dopo a Modena deve occuparsi di un altro sfregio.
Le sue tecniche, specialmente quelle di chirurgia facciale, sono ben descritte in una lettera che il chirurgo invia a Girolamo Mercuriale, allora professore di medicina a Padova ed esperto di malattie della pelle e rapporti tra bellezza e medicina. In questa lettera Tagliacozzi spiega per la prima volta come ricostruire le parti mutilate del volto, soprattutto i nasi.
Ma sono gli anni Novanta a far sì che il suo nome rimarrà per sempre impresso nella storia della medicina e della chirurgia in particolare. Nel 1594 viene invitato a Vienna da Ferdinando I de’ Medici per curare Virginio Orsini, nipote del granduca, ferito durante la guerra contro l’impero ottomano. Un altro paziente illustre è Vincenzo Gonzaga, duca di Mantova. Interpellato nel 1596 per un consulto, Tagliacozzi rimarrà presso la sua corte per molto tempo. Il duca, infatti, gli affida il compito di occuparsi dei suoi aspetti medico-cosmetici. Non sappiamo se il duca soffrisse di sifilide, o di qualche altra malattia della pelle, ma la sua malformazione al naso non poteva essere nascosta facilmente. Guardando i ritratti del tempo, ovviamente non notiamo questa malformazione, ma sappiamo che proprio Tagliacozzi, ormai diventato suo medico personale, avesse preparato un unguento speciale per nasconderla.
Sull’onda del successo presso le corti italiane, Tagliacozzi decide finalmente di dare alle stampe la sua opera più importante. Nel 1597, dieci anni dopo la lettera a Mercuriale, pubblica a Venezia presso Gaspare Bindoni la sua monografia in due volumi sulla chirurgia ricostruttiva del volto dal titolo: De curtorum chirurgia per insitionem.
Diversi addetti ai lavori lo considerano come il libro fondatore della chirurgia plastica. Dedicato al duca Vincenzo Gonzaga, il libro, arricchito da splendide illustrazioni, spiega perfettamente la sua tecnica per ricostruire un volto mutilato. La tecnica è quella descritta all’inizio dell’episodio. Tagliava un lembo di pelle dal braccio sinistro perché riteneva che qui ci fossero meno peli. Dopo aver avvicinato il braccio del paziente al volto, lo applicava sulla parte mutilata o scarnificata così da farlo ‘attecchire’. Una volta che l’innesto aveva preso, tagliava l’ultima parte di pelle legata al braccio per finire il suo lavoro. È grazie alle illustrazioni presenti nel libro, che trovate sul sito di In cerca di storie o sulla pagina Instagram del podcast (clicca qui), che abbiamo un’idea di come funzionasse. Vediamo quest’uomo praticamente incollato al suo bicipite. Non può ovviamente allontanare il braccio perché rischierebbe di strappare il lembo di pelle che dal suo arto va al naso. E pensare che il paziente doveva restare in questa posizione per tantissimo tempo.
Il libro diventa un best seller. In poco tempo la sua fama e il suo metodo travalicano i confini nazionali. Nel 1597 il libro viene persino pubblicato senza autorizzazione dall’editore e stampatore padovano Roberto Meietti. L’edizione di Meietti resta oggi rara e introvabile. In Germania l’opera di Tagliacozzi viene citata spesso nei trattati di chirurgia e troviamo un’edizione del libro stampata anche a Francoforte.
Cosa rese questo libro così di successo? Il suo merito è quello di aver riunito tutte le informazioni allora disponibili in un trattato medico erudito. Tagliacozzi non è infatti l’inventore di questo metodo. I primi casi di pazienti operati con queste tecniche, almeno in Europa, risalgono al XV secolo. In Italia, a Catania, Gustavo Branca e suo figlio Antonio utilizzavano questo metodo già nel 1400. A Tropea i fratelli Vianeo erano soliti utilizzarlo durante il Cinquecento. La fortuna di Tagliacozzi fu quella di cavalcare la moda del tempo. Il connubio medicina e bellezza era sempre più forte e l’aspetto esteriore era qualcosa da preservare e perché no migliorare. L’alta nobiltà, a causa di guerre, duelli e malattie, aveva bisogno della chirurgia estetica per difendere un certo status sociale. Va ricordato che la mutilazione del naso nell’antichità era un segno distintivo dei criminali condannati. Qualsiasi piccola imperfezione poteva creare un certo discredito nei confronti del ceto di appartenenza.
Ma perché si chiamava “metodo italiano”? Il nome fu coniato per distinguerlo dal “metodo indiano” inventato da Sushruta, un medico che visse tra il IX e l’VIII secolo a.C. in India. Rispetto al metodo italiano, utilizzava la pelle della fronte.
Due anni dopo la pubblicazione del De Curtorum, Tagliacozzi muore a Bologna all’età di 54 anni. Rispettando le sue ultime volontà, viene sepolto nella chiesa di S. Giovanni Battista (oggi non più esistente). Durante i funerali il suo collega Muzio Piacentini, per onorare la sua figura, utilizzò le stesse parole scritte da Pietro Bembo per l’epitaffio del pittore Raffaello Sanzio: “da lui, quando visse, la natura temette d’essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire”.
La fama del chirurgo più famoso d’Europa rischiò però di essere infangata. Dopo la sua morte, iniziarono a circolare voci che lo accusavano di pratiche magiche ed eresia. La sua non era semplice medicina. I suoi metodi così miracolosi nascondevano qualcosa di soprannaturale. Nonostante la sua fama, si decise comunque di aprire un processo postumo e di spostare la sua salma dalla chiesa di S. Giovanni Battista in un terreno fuori le mura sconsacrato.
Quelle che circolavano si rivelarono alla fine solo delle voci. Maligne, messe in giro da invidiosi per screditare Tagliacozzi, come confermato dalla sentenza finale del processo. Fu questo evento, peraltro poco documentato nelle fonti, a creare la leggenda che Tagliacozzi fosse stato condannato dall’Inquisizione per eresia. In realtà i rapporti tra il chirurgo e la Chiesa erano ottimi. Non a caso lo stesso De Curtorum non sarebbe stato pubblicato senza l’avvallo della Chiesa che esaminava in modo meticoloso tutte le opere da inserire eventualmente nell’indice dei libri proibiti.
Siamo giunti al termine della nostra storia. Vi ringrazio per l’ascolto. Come sempre, sul sito http://www.incercadistorie.com, oltre alla trascrizione dell’episodio, vi lascio le fonti consultate. Se siete appassionati all’argomento vi consiglio il programma “Storia della medicina”, in onda su Rai storia. C’è un episodio dal titolo “La fabbrica del corpo. L’arte difficile della chirurgia” e tra i protagonisti c’è proprio Tagliacozzi.
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Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!
Fonti per questo podcast
- “Gaspare Tagliacozzi” – Enciclopedia Treccani
- Tomba P, Viganò A, Ruggieri P, Gasbarrini A. Gaspare Tagliacozzi, pioneer of plastic surgery and the spread of his technique throughout Europe in “De Curtorum Chirurgia per Insitionem”. Eur Rev Med Pharmacol Sci. 2014;18(4):445-50. PMID: 24610608.
- Mukherjee, Nayana Sharma, Susmita Basu Majudar, and Susmita Basu Majumdar. “A NOSE LOST AND HONOUR REGAINED: THE INDIAN METHOD OF RHINOPLASTY REVISITED.” Proceedings of the Indian History Congress 72 (2011): 968–77. http://www.jstor.org/stable/44146788.