Vittorio Staccione: il mediano antifascista che morì per la libertà

Scorrendo i tabellini delle partite salta all’occhio una X nella lista dei titolari. No, non è un errore di stampa. È proprio così. Quella X è lì per un motivo. Perché il calciatore in questione, per via della sua fede politica, non può (e non deve) essere nominato. “Ci spiace, per ragioni particolari che riguardano l’interessato, dover tacere nell’elogio che rivolgiamo a tutta la squadra il nome del giuocatore che formò il trio mediano” scriveva il giornale Cremona Nuova il 9 dicembre 1924 riguardo la vittoria della Cremonese sul Legnano per 3-0.

Dietro quella X si nasconde Vittorio Staccione, calciatore e antifascista. Nel giorno delle celebrazioni per la Liberazione dal nazifascismo, la storia di un uomo che pagò con la vita la sua opposizione al regime.

Staccione nasce a Torino il 9 aprile 1904. Giovanissimo viene notato da Heinrich Bachmann, una delle stelle del Torino dei primi del Novecento. È proprio Bachmann che, colpito dalle qualità del ragazzo, lo fa entrare nelle giovanili granata. Il suo esordio in prima squadra avviene il 3 febbraio 1924. Deve ancora compiere 20 anni e il Torino pareggia 1-1 con l’Hellas Verona. Nella stagione 1923/24 disputa solo due partite. La stagione seguente passa in prestito alla Cremonese. Tracciare le sue prestazioni con la maglia grigiorossa è impossibile perché appunto il suo nome viene spesso sostituito da un X nei tabellini. Staccione, infatti, non è noto solo per le sue qualità in campo. La sua vita fuori dal rettangolo verde pesa come un macigno. È la sua fede politica a creargli non pochi problemi. Viene da una famiglia proletaria e si dichiara apertamente socialista. Nonostante il clima difficile, non mette mai da parte il suo impegno antifascista. Roberto Farinacci, il ras fascista di Cremona, lo ha segnalato come pericoloso sovversivo. Da lì l’ordine di oscurare il suo nome con una X. Ma il regime non si limita solo a censurarne il nome. Staccione è vittima di minacce e pestaggi.

Sul campo le cose vanno un po’ meglio. L’esperienza lombarda è piuttosto positiva ma non abbastanza da consentirgli, una volta tornato al Toro, di vestire sempre la maglia da titolare. Nella sua ultima stagione con la maglia granata, quella del primo scudetto della storia (titolo poi revocato per il caso Allemandi), dà il suo contributo alla vittoria finale giocando 12 partite tra campionato e Coppa Italia. La stagione 1926/27 è l’ultima con il Torino prima di passare alla Fiorentina che militava allora nella serie cadetta. Dietro il suo addio a malincuore ai colori granata si nasconde ancora una volta il regime. Il gerarca fascista di Torino fa pressioni sulla società affinché venga allontanato. Salta la partita di inaugurazione del Filadelfia nel 1926 perché “infortunato”. In realtà durante un pestaggio gli hanno rotto due costole.

Con la maglia biancorossa (il viola diverrà il colore ufficiale solo nel 1929) centra la promozione nella massima serie giocando 13 partite su 14. Di proprietà del marchese Ridolfi, la Fiorentina non allestisce una squadra all’altezza e il campionato finisce nel peggiore dei modi: ultimo posto e retrocessione. Staccione è quello con più presenze ma non basta. Nonostante la retrocessione decide di non lasciare la Fiorentina. Nel frattempo si è sposato con Giulia Vannetti e non vuole lasciare la Toscana. Per il campionato 1930/31 la società ha finalmente rinforzato l’organico. I Viola vincono il campionato di Serie B e il nome di Staccione appare in ben 24 partite. Il 1930 però è il suo anno nero. I successi sul campo non possono colmare il grande vuoto lasciato dalla scomparsa di sua moglie Giulia e di sua figlia Maria Luisa morte entrambe durante il parto.

La dolorosa perdita e l’ostracismo del regime influiscono sugli ultimi anni della sua carriera. Dopo la Fiorentina passa al Cosenza, club di terza serie. 77 presenze e tre stagioni con i calabresi prima di passare al Savoia di Torre Annunziata (dove durante un pestaggio gli spaccano un ginocchio ). La sua carriera finisce nel 1935 a soli 31 anni. Dice basta con il calcio e trova lavoro in fabbrica come operaio tornitore alla Fiat.

La persecuzione da parte del regime non si ferma. Arresti, pestaggi, licenziamenti, Staccione non si lascia intimorire. Difende le sue idee ed entra nell’orbita dell’antifascismo piemontese. Il mondo delle fabbriche è in subbuglio. Soprattutto dopo l’armistizio in molti manifestano il proprio dissenso nei confronti del regime. Staccione prende parte attivamente agli scioperi del 1 marzo 1944. Fu la sua ultima azione da uomo libero perché il 12 marzo, insieme a suo fratello Francesco, viene arrestato dalla polizia di Madonna di Campagna che lo consegna alle SS. Non fu uno dei promotori dello sciopero ma il suo nome e il trascorso politico bastarono per condannarlo.

In caserma gli autori dell’arresto, che conoscevano bene Staccione, provano a salvarlo come testimoniato dal racconto di suo nipote Federico Molinario: “La polizia gli comunicò che sarebbe stato deportato in un campo di concentramento tedesco e lo mandò a casa da solo a prepararsi per il viaggio. Chiunque al suo posto sarebbe fuggito, ma non lui. Il giorno stesso si presentò alle carceri Le Nuove con la valigia, consegnandosi ai nazisti. Questo dice tanto della natura di mio zio, e anche della sua piemontesità”.

Il 16 marzo sale sul treno numero 34 in partenza da Porta Nuova con destinazione Mauthausen. Arriva il 20 marzo. Una volta nel campo di concentramento viene classificato come Schutzhaftling, prigioniero politico. Da quel momento in poi sarà identificato solo da un triangolo rosso e un numero di matricola: 59160.

Incontra nei lager un avversario ai tempi del Torino: Ferdinando Valletti che all’epoca indossava la maglia del Milan. I due disputano anche alcune partite all’interno del lager contro le SS. Valletti riesce a salvarsi mentre Staccione, trasferito nel campo di Gusen, muore di setticemia e cancrena il 16 marzo 1945 forse a causa dei pestaggi da parte delle guardie. Suo fratello Francesco muore 11 giorni dopo. Il campo di Mauthausen sarebbe stato liberato solo un mese e mezzo più tardi il 5 maggio 1945.

Termina così la storia di Vittorio Staccione, il mediano che pagò con la vita la sua opposizione al regime fascista. Un esempio di coraggio e determinazione. Un uomo che non abbandonò mai le sue idee, neppure di fronte alla feroce violenza del regime.   

Il 6 ottobre del 2012 il suo nome è stato inserito nella Hall of Fame della Fiorentina. Il 16 giugno del 2015, all’interno dello stadio Giovanni Zini di Cremona, gli è stata dedicata una lapide commemorativa. Sotto un’opera in bronzo che raffigura un pallone dietro un filo spinato un messaggio recita:

“Vittorio Staccione

Giocatore grigiorosso nella stagione 1924/1925

Morto a Gusen-Mauthausen il 16 marzo 1945

Simbolo dello sport come impegno sociale, civile e politico.

Lottò sui campi della vita

Per la libertà e la fratellanza degli uomini”

Fonti per questa storia:

  • “Il mediano di Mauthausen” di Francesco Veltri – Diarkos
  • “Vittorio Staccione: il mediano del Toro che ha sacrificato tutto per un’ideale” di Silvio Luciani – Toro News
  • “Cuori partigiani. La storia dei calciatori professionisti nella Resistenza italiana” di Edoardo Molinelli – Red Star Press
  • Qui abitava Vittorio Staccione – comune.torino.it

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