Ep. 25 / Armi chimiche nella storia: il caso Dura-Europos

Sito archeologico di Dura-Europos. Siria. 1930. Gli archeologi hanno appena rinvenuto in un tunnel scavato sotto le antiche mura della città, i resti di venti legionari romani. Insieme a loro, quelli di un nobile del tempo: spada dal manico in avorio, abiti e ornamenti preziosi. Si chiedono cosa ci facciano lì, ma soprattutto chi li abbia uccisi. La domanda con il passare degli anni cambia. Non più chi li ha uccisi, ma cosa. Gli studiosi, infatti, non sanno di trovarsi di fronte a quella che fu la prima guerra chimica della storia.

Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.

Negli ultimi mesi, a causa purtroppo del conflitto in Ucraina, abbiamo sentito spesso parlare di utilizzo di armi chimiche. Di cosa si tratta? Secondo l’OPAC, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche, “sono quegli strumenti bellici che causano danni o morte intenzionale attraverso agenti di carattere chimico”. Ce ne sono di diversi tipi. Quelli più comuni forse sono il gas nervino, il Sarin o quello che fu soprannominato “gas mostarda”, l’iprite, che fu utilizzato per la prima volta il 22 aprile 1915 nella città fiamminga di Ypres (da qui il nome) dalle truppe tedesche per sfondare le linee francesi.

Siamo abituati ad associare all’idea di arma chimica le immagini appunto di soldati, asini e cavalli della Grande Guerra equipaggiati con le maschere antigas. In realtà le armi chimiche non fanno parte solo della storia moderna. Fin dall’antichità il genere umano ha sempre cercato il modo più letale e rapido per sconfiggere il nemico. E la città siriana di Dura-Europos con i suoi 20 legionari e quel nobile, ne sono la prova.

Dura-Europos si trova nel deserto siriano non lontano dal fiume Eufrate e dal confine con l’Iraq. Fu fondata nel 303 a.C. dal sovrano macedone Seleuco I. In origine era un avamposto militare ma con il passare dei secoli si è trasformata in una città carovaniera divenendo una meta ambita dai diversi conquistatori.

Dura, per usare un’espressione moderna, era un melting pot di culture e religioni diverse. Romani, Greci, Semiti, per le sue strade potevi sentir parlar greco, latino, aramaico o persiano. Tra tutte le dominazioni, quella che ci interessa per la nostra storia è quella romana.

Prima sotto Traiano e poi sotto Lucio Vero, divenne parte della provincia siriana ed ebbe un ruolo strategico a causa della sua posizione geografica. Il limes orientale dell’impero era agitato dagli scontri tra romani e sasanidi. Quest’ultimi decisero di assediare la città nel 256 d.C. e vincerne la resistenza. Ma come?

Ed è qui che torniamo al team di archeologi che ho menzionato in apertura. In città era stanziata una legione che doveva appunto difenderla dagli assedi. I Persiani provano a sfondare le mura con scale e rampe ma incontrano una strenua e valorosa resistenza. Ecco allora il colpo di genio. Invece di passare in superficie, decidono di scavare un tunnel sotto le torri. Una tecnica non nuova e che si sarebbe diffusa nei secoli. La ritroviamo spesso utilizzata durante il medioevo per assediare i castelli.

In pratica gli assedianti scavano dei tunnel che arrivano fin sotto le mura della città. Qui ammassano paglia e pece per poi dar fuoco. L’incendio fa crollare le mura della città così da permettere ai soldati in superficie di entrare facilmente. È la cosiddetta ‘mina’. Gli assediati spesso rispondevano con la ‘contromina’. Altro non era che una galleria scavata contemporaneamente all’interno della città per intercettare gli assedianti e ucciderli o spegnere l’incendio.

Anche a Dura accade lo stesso. O quasi. Perché in realtà gli assedianti fanno qualcosa di nuovo che spiazza i legionari. All’interno del tunnel non portano materiali infiammabili bensì gas. In un braciere versano un composto formato da bitume e cristalli di zolfo, una specie di catrame, che bruciando rilascia un fumo tossico. I 20 legionari che sono sbucati nella galleria per scacciare il nemico sono spacciati. Non fanno in tempo a scappare che il gas li ha ormai uccisi. I ricercatori dell’Università di Leicester sono arrivati a questa conclusione analizzando i resti dei legionari. Non ci sono infatti segni di morte violenta, quelli tipici che ci aspetteremmo durante un assedio. In questo modo i persiani furono in grado di introdursi facilmente sotto le mura nemiche per poterle distruggere. Ora vi chiederete: ma il nobile che è stato ritrovato lì con loro?

Anche lui ebbe un ruolo decisivo. Lo potremmo definire un kamikaze ante litteram che decise di immolarsi per permettere ai suoi compagni di entrare in città. Sembra che fu proprio lui ad introdurre quel composto di bitume e zolfo nel tunnel.

È così che Dura-Europos cadde. I suoi abitanti furono molto probabilmente uccisi o fatti schiavi. La città, stranamente, non fu rasa al suolo ma soltanto abbandonata. È rimasta per secoli intatta, nascosta sotto la sabbia del deserto siriano fino a che un giorno, in modo rocambolesco, un soldato inglese impegnato a scavare una trincea durante la rivolta araba non fa una scoperta eccezionale. È il 30 marzo 1920 e quel soldato non crede ai suoi occhi. Un affresco dai colori vivaci strega i soldati e il capitano Murphy. Sanno di trovarsi di fronte a qualcosa di importante. Tra gli anni Venti e Trenta si sono susseguiti diversi scavi portati avanti da team inglesi, francesi e americani. Dura è conosciuta come la “Pompei del deserto siriano” per via dei suoi grandi tesori ancora intatti dopo secoli. Tra questi, lo scudo di un legionario romano che ancora oggi è l’unico esemplare di scutum semicilindrico giunto ai giorni nostri.

Ma davvero l’episodio di Dura è il più antico utilizzo di armi chimiche della storia? In realtà dalle fonti antiche sappiamo che l’uso di gas o sostanze irritanti e tossiche risale a ben prima dell’assedio dei persiani alla città siriana. Durante la guerra tra Sparta e Atene, tra il 431 e il 404 a.C., gli Spartani utilizzarono miscele di pece, carbone e zolfo per abbattere le resistenze delle città assediate. Ne abbiamo notizia da Tucidide nell’opera “La guerra del Peloponneso”. Durante gli assedi di Platea, Belium e Delio gli spartani utilizzarono queste miscele non solo per bruciare le fortezze nemiche ma anche per intossicare gli assediati. C’è poi la testimonianza di Quinto Curzio che racconta come durante l’assedio di Tiro del 332 a.C. ad opera di Alessandro Magno, i Tiri utilizzarono bitume e zolfo nonché lanciarono sabbia rovente e calce viva sui soldati macedoni. I romani erano soliti avvelenare i pozzi delle città assediate costringendo così gli assediati alla resa. Nell’opera “Vite parallele” di Plutarco si narra un episodio particolare. Il generale romano Sertorio nella campagna di Spagna non riesce ad avere la meglio sui Garacitani. Gli ispanici si nascondevano nelle grotte ed era impossibile stanarli. Ecco il colpo di genio del generale che spinge contro di essi “con l’aiuto del vento una densa nuvola ottenuta facendo galoppare la cavalleria sopra un grande strato di cenere e di polvere”. Una nuvola definita “tossica”. Dopo tre giorni i Garacitani, ormai intrappolati nelle grotte e prossimi all’asfissia, sono costretti ad uscire e ad arrendersi.

Quest’episodio mi ha ricordato molto quello avvenuto in Etiopia nel marzo del 1938. Allora a rifugiarsi nella caverna di Zeret erano stati gli etiopi che scappavano dai massacri perpetrati dalle truppe italiane. Donne, uomini, bambini, questa volta per stanarli si utilizza l’iprite, circa duecento litri, e cento proiettili da cannone con testate ad arsine, un gas questo infiammabile ed altamente tossico. Gli etiopi resistono eroicamente 48 ore per poi soccombere. Si stima che tra gli assediati siano morte tra le 1200 e le 1500 persone. Chi era scampato all’orrore del gas venne fucilato e gettato nei burroni.

Da Dura-Europos alla caverna di Zeret, fino ai giorni nostri, notiamo che semplicemente nulla è cambiato. La ferocia dell’uomo non si ferma dinanzi a nulla.

Si conclude qui l’episodio di quest’oggi. Se vi è piaciuta questa storia fatemelo sapere nei commenti. Come sempre sul sito http://www.incercadistorie.com trovate le trascrizioni e le fonti. Non dimenticatevi di seguirmi su YouTube e Instagram.

Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!  

Fonti per questo episodio:

  • “Fritz Haber e il primo attacco chimico della storia moderna” di Fred Langer – Focus
  • “Cosa sono le armi chimiche e che cosa hanno a che fare con la guerra in Ucraina” di Antonello Guerrera – la Repubblica
  • “A Melting Pot at the Intersection of Empires for Five Centuries” di John Noble Wilford – New York Times
  • “Why Chemical Warfare Is Ancient History” di Ishaan Tharoor – Time
  • “The History of Chemical Weapons Use Goes Back to the Ancient World. From poisoned arrows to deadly gases, chemicals have been deployed in warfare since Roman times” di Erin Blakemore – http://www.history.com
  • “Vita e prodigi a Dura Europos, la Pompei del deserto siriano” di Elisa Filomena Croce – BBC History
  • “Lo sfascio dell’impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941” di Matteo Dominioni – Editori Laterza
  • ANDREA BRAMBILLA, MARCO PISANI GUERRA CHIMICA E MASCHERE ANTIGAS DALLE ORIGINI ALLA PRIMA GUERRA MONDIALE Annali, Museo Storico Italiano della Guerra n. 28/2020

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