“Soldi per studiare e divertirsi”. Dalle lettere degli studenti all’estero nel Medioevo

Com’era studiare all’estero nel medioevo? Potrebbe sembrar strano, ma apparentemente gli studenti del tempo condividevano gli stessi problemi degli studenti moderni. Le università non erano per tutti e solo poche famiglie potevano permettersi di mandare i propri figli a studiare all’estero. Gli atenei più importanti attiravano studenti da tutta Europa. Nonostante la vita nelle università fosse particolarmente austera, non erano tenuti a rispettare le rigide regole della vita monastica. Questo significava che sì dovevano studiare, ma allo stesso tempo avevano anche modo di divertirsi (lontano dagli occhi dei genitori).

Le università svilupparono sin dall’inizio un complesso sistema postale per permettere agli studenti di inviare e ricevere lettere. Il primo caso documentato di servizio postale universitario è quello di Bologna del 1158. Altre università prestigiose come quella di Salamanca o di Parigi disponevano di corrieri che si occupavano di recapitare le lettere dei ragazzi impegnati nei corsi all’estero.

Sono proprio queste lettere a darci un’idea di come fosse davvero la loro vita. Nonostante le università sorgessero in città molto vivaci sul piano culturale e politico, riferimenti a questi due temi sono molto scarsi. Sembra piuttosto che i ragazzi avessero ben altro per la testa. Scrivevano per due motivi: fare impressione sui genitori dimostrando i loro progressi negli studi e soprattutto chiedere più soldi.

Le lettere erano scritte con uno stile formale e impostato, dettato anche dall’esigenza di dimostrare di saper padroneggiare la scrittura e le parole nell’ottica di una carriera da funzionario o impiegato. E chi era indietro negli studi e non sapeva scrivere? Nessun problema, già allora esistevano dei manuali con tanto di modelli da cui attingere per fare buona impressione sui genitori.

Tra queste lettere, leggiamo quella scritta da uno studente di Oxford nel 1220:

“Questa mia per informarvi che sto studiando a Oxford con la massima diligenza, ma la questione dei soldi si frappone seriamente ai miei progressi verso la promozione, giacché sono ormai due mesi che ho speso l’ultima delle monete che mi avevate mandato. La città è costosa e i bisogni sono tanti: devo pagare la pigione, acquistare i beni di prima necessità e rifornirmi di molte altre cose che ora non posso elencare in dettaglio. Imploro rispettosamente il vostro buon cuore paterno affinché mi assistiate ascoltando i suggerimenti della pietà divina, acciocché io possa essere in grado di portare a termine ciò che ho bene iniziato”.

Studiare all’estero, almeno secondo le parole di questo ragazzo, costava. Ecco l’implorazione ai genitori con tanto di riferimento alla “pietà divina” che non guastava mai. Chi avrebbe mai resistito alle parole del proprio figlio che muore di fame e chiede solo dei soldi per studiare?

Sempre dalle lettere del tempo scopriamo che in realtà i genitori non si facevano ingannare così facilmente. I ragazzi, allora come oggi, avevano bisogno sì di soldi, ma non sempre per studiare. Ecco cosa scriveva un esasperato genitore di Besançon al figlio, studente a Orléans:

“Ho recentemente scoperto che conduci una vita dissoluta e indolente, preferendo la licenziosità alla moderazione e il gioco allo studio, e che strimpelli una chitarra mentre gli altri si applicano ai loro studi, di conseguenza vengo informato che hai letto un solo volume di diritto laddove i tuoi compagni più industriosi ne hanno letti diversi. Ho deciso pertanto di esortarti a pentirti a fondo dei tuoi modi dissoluti e incuranti, sì che tu non possa più essere chiamato un perditempo e che la tua vergogna di oggi possa portare a una buona reputazione futura”.

È interessante notare come i genitori fossero al corrente di ciò che accadeva nel mondo universitario a prescindere dalle lettere dei propri figli. C’era un sistema postale che li informava in tempo reale, anche se considerando i tempi di consegna del tempo è un’espressione un po’ azzardata. Quello che colpisce è che in queste lettere anche gli studenti medioevali raccontano di come fosse stato difficoltoso il viaggio, della sistemazione che avevano trovato e perché no dei coinquilini, immancabilmente molto rispettabili.

L’olandese Emo di Frisia, che secondo gli storici fu il primo studente straniero a frequentare Oxford (nel 1191), aveva probabilmente molte cose in comune con gli studenti moderni.

Le lettere sono tratte dal libro edito da Einaudi “L’invenzione delle notizie: Come il mondo arrivò a conoscersi” di Andrew Pettegree e tradotto da Luigi Giacone.

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