Scorrendo le storie raccontate in questo podcast, notiamo come i protagonisti siano accomunati da un elemento. Le loro vite, improvvisamente, sono state stravolte. Spesso da elementi esterni che non potevano controllare. Alcuni di essi, proprio nei momenti più duri e difficili, hanno trovato la forza per andare avanti e non farsi travolgere dagli eventi. La storia che vi racconterò oggi non è da meno. Perché il nostro protagonista proprio in un momento buio e complicato come la seconda guerra mondiale, e in un posto dimenticato da Dio come un campo di concentramento, ha trovato la sua vocazione. Questa è la storia di Iwao Takamoto, uno dei padri dell’animazione.
Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.
Lo so il nome Iwao Takamoto non dice molto. Ma se vi dicessi Scooby-Doo sicuramente saprete di cosa sto parlando. Il cane fifone che scappa terrorizzato inseguito da vampiri e fantasmi è solo uno dei personaggi creati dal signor Takamoto. Ho deciso di raccontare la sua storia perché mi ha colpito il modo in cui si è avvicinato al mondo dell’animazione. Ma soprattutto perché è una di quelle storie fatte di talento e determinazione che ci insegnano a trovare gli aspetti positivi anche nei momenti bui. Ma lasciamo per ora le considerazioni e immergiamoci nella sua storia.
Iwao Takamoto nasce a Los Angeles, in California, il 29 aprile 1925. Figlio di immigrati giapponesi, a 15 anni si diploma alla Thomas Jefferson High School di Los Angeles. Una vita tranquilla e regolare anche se, come abbiamo detto all’inizio, ai nostri protagonisti accade sempre qualcosa di imprevedibile che stravolge tutto. Nel caso del signor Takamoto l’evento inatteso è l’attacco da parte dell’impero giapponese alla base navale americana di Pearl Harbor il 7 dicembre 1941.
L’attacco improvviso non solo trascina gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale ma alimenta un clima di odio e sospetto nei confronti dei giapponesi che vivono negli Stati Uniti. Non importa se alcuni di questi giapponesi, come il signor Takamoto, fossero nati e avessero vissuto sempre in America, per l’opinione pubblica rappresentano un pericolo, una minaccia interna che potrebbe sabotare la macchina da guerra americana.
Ecco che il governo americano e il presidente Roosevelt in primis firmano, il 19 febbraio 1942, l’ordine esecutivo 9066 che decreta che tutti i residenti sul territorio degli Stati Uniti di origine giapponese, anche se nati in territorio americano, devono essere rinchiusi in un campo di concentramento. Ad essere precisi, l’ordine esecutivo riguardava anche gli italiani e i tedeschi presenti sul suolo americano.
Il governo ordina la costruzione di dieci campi di concentramento in zone remote e isolate di sette stati diversi. I cittadini giapponesi non sanno a cosa vanno incontro. Sono costretti ad abbandonare le loro attività. C’è chi intesta i propri beni ai vicini e chi svende le proprietà pur di guadagnare qualche soldo. Per gli oltre 120mila giapponesi presenti sul territorio americano inizia così un processo di deportazione che sarà completato solo nel novembre del 1942.
Takamoto e la sua famiglia vengono rinchiusi nel campo di Manzanar, ai piedi della catena montuosa della Sierra Nevada in California. Il campo copre un’area di 500 acri. Filo spinato, otto torri per le guardie e le pattuglie della polizia: in questo modo gli internati non possono scappare. Solo nel settembre del 1942 vengono rinchiusi oltre 10mila giapponesi. 10mila persone suddivise in 504 baracche organizzate in 36 blocchi. Ogni blocco ospita tra le 200 e le 400 persone. Stanze miste per uomini e donne. Bagni, docce, mensa. Gli internati condividono tutto. Pochi sono abituati al clima del deserto: picchi oltre i 45 gradi d’estate e temperature sotto lo zero in inverno.
Le condizioni dure del campo non scoraggiano gli internati. Si crea una vera e propria comunità al suo interno con tanto di scuola, chiesa e giornale gratuito. Ed è in questo clima ibrido di privazioni e creatività che Takamoto si dedica al disegno. Perlopiù schizzi che ritraggono le attività svolte nel campo. I suoi disegni attirano l’attenzione di due signori. Prima di essere internati lavoravano come art directors presso due grosse case di produzioni cinematografiche. Sfogliano i bozzetti di quel ragazzo e gli danno un consiglio: quando la guerra sarà finita, vai in Giappone e cerca lavoro come disegnatore e animatore. Il talento non ti manca.
Iwao però non vuole lasciare gli Stati Uniti. La sua lingua madre è l’inglese e in America si sente a casa perché è lì che è nato e cresciuto. Quando finalmente la guerra è agli sgoccioli e il governo allenta la presa sui cittadini giapponesi, ha la possibilità di lasciare il campo. Quei due signori che aveva conosciuto a Manzanar gli avevano consigliato un posto, negli Stati Uniti, dove candidarsi come animatore: i Walt Disney studios.
Iwao decide così di chiamare la Walt Disney. La segretaria al telefono gli porge una semplice domanda: “Desidera lavorare per la Walt Disney?”, lui deciso risponde di sì e allora la segretaria chiede: “In che reparto vorrebbe lavorare?”. Una domanda banale ma che spiazza il protagonista della nostra storia. Come racconterà in un’intervista: “Ingenuamente credevo che alla Disney la gente disegnasse e basta. Solo in quel momento realizzai quanto fosse grande quel posto”. Allora risponde indicando l’animazione come settore preferito. La segretaria fissa un appuntamento e gli chiede una cosa. Anche questa banale: di portare con sé un portfolio. Iwao chiude la telefonata e pensa: “Ma io neanche ce l’ho un portfolio. Non ho nemmeno idea di come dovrebbe essere un portfolio”.
Non ha molte alternative, deve pur mostrare qualcosa al colloquio. Non avendo molti soldi decide di andare al negozio sotto casa. E’ un five and dime, uno di quei negozi che prendono il nome dal fatto che gli oggetti in vendita costano pochissimo, 5 o 10 centesimi appunto. Lì compra un paio di blocchi di fogli per disegnare e una matita. In due giorni, racconta, disegna tutto quello che gli viene in mente. Dai cavalieri ai cowboys. Per il colloquio ha finalmente un portfolio.
Il giorno dell’incontro alla Disney si sente un po’ spaesato. Nella sala d’attesa ascolta i discorsi degli altri candidati. Hanno tutti la cravatta e parlano di colloqui con altri studios. Lui, vestito come se fosse un giorno qualsiasi, reduce da un internamento in un campo di concentramento, con in mano due blocchi di disegni improvvisati, si sente un po’ a disagio. Durante il colloquio l’incaricato della Disney gli chiede di mostrargli i suoi disegni. Li osserva attentamente. Iwao è teso. Tra sé e sé pensa: “Dannazione. Quest’uomo sta facendo il suo lavoro e ha preso sul serio i miei disegni”. Mike, così si chiama l’intervistatore, lo guarda e dice: “Vai di fretta?”. Iwao stupito dice di no. “Allora aspettami qui, torno tra un po’”. Mike prende due disegni e sparisce. Dopo 20 minuti torna e gli chiede: “Vorresti iniziare a lavorare da lunedì?”.
E’ così che, qualche giorno prima del VE Day, la giornata della vittoria in Europa, l’8 maggio 1945, Iwao, il reduce di Manzanar, è assunto come assistente animatore dai Walt Disney Animation Studios. Non sa che quella sarà la sua casa per i prossimi 15 anni.
Lavorare alla Disney vuol dire imparare il mestiere dai maestri. E’ una scuola a tutti gli effetti, dove impara rubando i segreti e commettendo errori. Una vera e propria gavetta che lo vede impegnato inizialmente con i cortometraggi. Dopo 4 mesi viene chiamato dall’animatore Bob Connellson. Ha visto i suoi lavori e lo vorrebbe nella sua squadra. Con Bob lavora alla realizzazione del cortometraggio “Topolino e il fagiolo magico” che sarà presentato al pubblico nel 1947. Quell’esperienza gli permette di cimentarsi con l’animazione. Purtroppo non va tutto per il meglio. La Disney infatti attraversa un periodo buio e non può assicurare le paghe settimanali. Iwao riceve così un assegno di disoccupazione e viene messo da parte. “Stavo imparando cos’è la vita” dirà in seguito. Per fortuna quel periodo non dura molto e può ritornare alla Disney. Lavora ad alcune scene di Pecos Bill finché un giorno non gli viene chiesto di cambiare nuovamente stanza. Iwao non sa bene perché ma scopre presto che c’è una bella novità in serbo.
Milt Kahl, uno dei principali animatori dei classici Disney, vuole Iwao nel suo team. Per intenderci, il signor Kahl ha lavorato alla realizzazione del lungometraggio Biancaneve e i sette nani, nonché ha animato personaggi come Pinocchio, Peter Pan, il maggiordomo Edgar de Gli Aristogatti e lo Sceriffo di Nottingham in Robin Hood. Milt fa parte dei Nine Old Men, una sorta di hall of fame che accoglie i nove animatori storici della Disney.
Iwao si ritrova così a lavorare nell’unità di Milt. Ogni giorno passato al fianco di quei mostri sacri dell’animazione è una lezione. Tra i suoi colleghi c’è Marc Davis. Davis è un ex insegnante. Lo si vede perché, come racconta Iwao, ogniqualvolta lui non capisce qualcosa, Davis prende carta e matita e illustra quello che vuole dire. In un ambiente che trasuda creatività e genialità, Iwao lavora al film Tanto caro al mio cuore, un film in tecnica mista che racconta le vicende di un bambino, Jerry, e del suo inseparabile agnellino nero Danny. Quando la Disney decide di dare il via alla creazione di Cenerentola, Iwao si occupa di rifinire e completare le animazioni di Milt.
Dopo Cenerentola è la volta di Alice nel paese delle meraviglie, Peter Pan e Lilli e il vagabondo. Nella creazione di quest’ultimo film, Iwao dimostra di poter dare quel valore aggiunto che serve alla caratterizzazione del personaggio di Lilli. Walt Disney ha visto le bozze del cocker disegnate da Milt e non è soddisfatto. Vuole che il cocker abbia tratti più femminili e sia più grazioso. Milt allora si mette all’opera ma non riesce a ricreare quello che ha in mente Walt. Ecco che Iwao non perde l’occasione. Gli si avvicina e gli suggerisce una cosa all’orecchio. Milt allora lo guarda e dice: “So che hai in mente qualcosa, e so che funzionerà”. Raccoglie i fogli dal tavolo e li dà a Iwao: “Ora te ne occupi tu”. Su quella decisione, Iwao dice: “Fu una sorpresa e un po’ mi spaventava. Ma in qualche modo riuscì a ricreare quello che avevo in mente e infine mi dissero: da oggi sarai responsabile del controllo qualità delle caratterizzazioni di Lilli e il vagabondo”.
Il suo lavora consiste adesso nel controllare che i disegni vengano eseguiti correttamente e che rappresentino al meglio le caratteristiche dei vari personaggi. Dopo Lilli è la volta de La bella addormentata nel bosco. Gli affidano il personaggio principale: la principessa Aurora. In seguito si occupa anche de La carica dei cento e uno. Questo film ha una particolarità. La Disney infatti, per realizzarlo, utilizza la macchina xerografica che permette di fotocopiare i disegni degli animatori direttamente sui rodovetri. Un modo per saltare quella fase lunga e complicata della ripulitura dei disegni e inchiostrazione che era ancora realizzata a mano. Una tecnica che era stata sperimentata durante la realizzazione de La Bella Addormentata nel Bosco.
Gli anni ’60 sono per Iwao un momento di crisi. Il mondo che lo aveva tanto affascinato sta scomparendo. Si accorge di non poter dare più il suo contributo alla causa. Senza motivazioni sa di non poter andare avanti. Alcuni suoi colleghi sono passati alla televisione. Lavorano per una casa di produzione fondata nel 1957: la Hanna-Barbera. Decide allora di dire addio alla Disney e vivere questa nuova avventura.
Una volta approdato alla Hanna-Barbera si accorge subito di come lavorare per la tv sia molto diverso. Non si occupa più solo di controllare i disegni e le animazioni, ma spesso partecipa in prima persona alla creazione e realizzazione dei personaggi. E’ così che si ritaglia il suo ruolo nelle serie animate de I pronipoti, dove lascia il segno disegnando il cane Astro, e poi con I Flintstones. La sua versatilità e capacità d’improvvisazione fanno la differenza. Ne è un esempio il personaggio di Penelope Pitstop della serie La corsa più pazza del mondo. Iwao racconta che durante un incontro tra Joseph Barbera e gli sponsor della serie, alcuni dei partecipanti si domandano: “Ma non ci vorrebbe una donna in questa serie?”. Joseph raggiunge Iwao e gli dice: “Sono d’accordo con loro. Serve un personaggio femminile”. Iwao, insieme a Jerry Eisenberg, si mettono subito all’opera e in due ore realizzano il personaggio di Penelope Pitstop. Anche qui si nota il suo tocco nel caratterizzare il personaggio. Parte da due elementi di base che accomunano tutti i piloti: il casco e la sciarpa. Ci aggiunge un parasole e disegna una macchina con tanto di labbra e ciglia. Il tutto condito da un rosa shocking. Ecco creato il personaggio femminile che tanto volevano.
“Quando realizzi un cartone animato del sabato mattina – spiegano gli addetti ai lavori – devi tagliare ogni linea non essenziale. Più linee vuol dire più spese. Non importa se diamo ai bambini 40mila disegni o 4mila. Quello che interessa è l’intrattenimento”.
Takamoto ha un altro colpo di genio quando, sempre su richiesta di Joseph Barbera, disegna la famiglia di orsi protagonista della serie The Hillbilly Bears. Ma è nel 1969 che crea uno dei suoi personaggi più rappresentativi.
Un anno prima il produttore Fred Silverman si presenta all’Hanna-Barbera con una idea: ha in mente di creare un cartone animato della durata di 30 minuti dai toni horror da mandare in onda il sabato mattina. Deve ispirarsi al celebre, almeno in America, radio dramma “I Love a Mystery”, in onda tra il ‘39 e il ’44, ed incentrato sulle vicende di tre amici che gestiscono una agenzia investigativa e girano il mondo in cerca di avventure.
La Hanna-Barbera realizza una bozza intitolata inizialmente The Mysteries Five. Cinque ragazzi e il loro cane che fanno parte di una band musicale, “Mysteries Five” appunto, e che, quando non suonano, risolvono misteri soprannaturali. La bozza però non convince. Anche il personaggio del cane va rivisto ed è proprio lì che sale in cattedra l’estro di Takamoto.
Alla Hanna-Barbera c’è una signora che alleva alani. Chiacchiera spesso con lui e le piace mostrargli le foto dei suoi cani. Sottolinea sempre le loro caratteristiche: schiena dritta, zampe dritte e mento sottile. Quei tre elementi vengono capovolti e distorti nella mente di Takamoto. Ecco che il cane protagonista della serie sarà l’opposto: un alano con la gobba, il mento grande e le zampe arcuate. Perfino il colore è sbagliato. E il nome? Un altro colpo di genio.
Nel 1966 viene incisa la canzone “Strangers in the night” cantata da Frank Sinatra. Nella parte finale, The voice ripete “Doo-bee-Doo-bee-Doo”. Così nasce l’alano Scooby-Doo e la serie del ’69 prenderà il titolo di Scooby-Doo where are You? Accanto all’alano fifone, i personaggi che tutti ormai conosciamo: Fred, Daphne, Velma e l’impacciato Shaggy.
Michael Mallory, autore del libro “Hanna-Barbera Cartoons” dice: “Iwao ci ha regalato Scoby-Doo. Senza di lui sarebbe stato un piccolo Airedale terrier e probabilmente sarebbe durato solo una stagione”.
E Scoby-Doo infatti, grazie proprio all’intuizione di Takamoto, diviene un appuntamento fisso della tv, soprattutto del sabato mattina. Stagione dopo stagione, nel 2004 trova posto perfino nel Guinness dei primati per essere la serie col maggior numero di episodi mai prodotta.
Takamoto continua a lavorare per la Hanna-Barbera curando diverse serie tv e film. C’è il suo zampino nelle serie La famiglia Addams, Aspettando il ritorno di papà, Super Segretissimo, nel film I pronipoti e nel 2005 cura anche il film di Tom and Jerry intitolato “L’arte del karate”. Elencare tutti i titoli sarebbe impossibile perché durante la sua permanenza alla Hanna-Barbera ha contribuito al successo di svariate produzioni. E come dicevano i suoi colleghi: “La sua mano non era sempre la prima, ma era sicuramente l’ultima che toccava un personaggio”, a conferma del fatto che avesse la capacità di dare quel tocco in più per caratterizzare qualsiasi personaggio e renderlo unico. Espressioni e carattere, i due capisaldi che riteneva indispensabili nel mondo dell’animazione: “Se osservi i personaggi dei cartoni animati di maggior successo, ti accorgerai che hanno tutti un tratto comune. Non è tanto il modo in cui sono stati disegnati, ma quello che sono in grado di fare e come lo fanno utilizzando il linguaggio del corpo e le espressioni del viso. E’ come se il disegno avesse dentro di sé gli strumenti necessari per renderli vivi, donandogli un cuore e un cervello. E’ questo il fascino dell’animazione”.
Takamoto si spegne nel 2007, nella sua Los Angeles, a 81 anni per un attacco di cuore. Al momento della sua morte è vicepresidente della sezione progetti speciali per la Warner Bros. Animation, che nel frattempo aveva assorbito la Hanna-Barbera fallita per bancarotta.
Siamo giunti al termine di quest’episodio, vi ringrazio per l’ascolto. La storia di Takamoto l’ho scoperta su Twitter. Conoscevo il personaggio di Scoby-Doo, ma come capita spesso con i cartoni animati che hanno accompagnato la nostra infanzia, e non solo, non conoscevo il suo disegnatore. Ho notato che in ogni tweet si menzionava il suo internamento nel campo di concentramento di Manzanar. Come detto all’inizio, è il motivo per cui ho deciso di raccontarvi questa storia. Perché possiamo trovare aspetti positivi anche nei momenti difficili. Se vi è piaciuta questa storia, vi invito a condividere il podcast, a lasciare un commento o una recensione. Iscrivetevi al canale per non perdere i nuovi episodi. In cerca di storie è sulle maggiori piattaforme di podcast nonché su Instagram e Twitter. Inoltre, sul sito incercadistorie.com trovate le trascrizioni di tutti gli episodi. Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!
Libri e articoli per questo podcast
- “Iwao Takamoto. Brilliant animator who eased the medium’s transition from film to television” di Paul Wells – The Guardian
- “Iwao Takamoto, 81; animator for Hanna-Barbera drew Scooby-Doo” di Valerie J. Nelson – The New York Times
- Sulla tecnica della Xerografia: “Marathon Day: La Carica dei 101 (1961)” di Daniele Artioli – Chest of Tales
- “Living with a Legend a Personal Look at Animation Legend Iwao Takamoto, Designer of Scooby” di E. Leslie Stern – TotalRecall Publications