Immaginate di assistere ad un torneo di scacchi. Un torneo maschile per l’esattezza. C’è un partita che sta volgendo al termine ed uno dei giocatori prova a stento a nascondere la sua rabbia. Sa bene di non poter vincere. Quelle due parole che non vorrebbe sentire, risuonano nella sua testa: scacco matto. Quella partita, lunga e tesa, è finita. Il suo sfidante può festeggiare. Un sorriso per allentare la tensione e godersi la vittoria. Che c’è di strano? C’è di strano che lo sfidante, il vincitore, è in realtà una ragazza. Ma non una qualunque. Una ragazza prodigio che sbaraglia i suoi avversari. No, non è finzione. Perché questa è la vera storia di Vera Menchik, la regina degli scacchi.
Benvenuti a tutti, sono Stefano Frau e questo è In cerca di Storie, il podcast che va alla ricerca di storie o personaggi dimenticati o poco conosciuti.
Come detto, lo scopo di questo podcast è raccontare, e riportare alla memoria, personaggi che hanno fatto la storia e per qualche strano motivo sono finiti nel dimenticatoio. Il personaggio di quest’oggi, purtroppo, ha subito lo stesso destino.
Negli ultimi tempi, grazie soprattutto alla serie di Netflix “La regina degli scacchi”, è cresciuto l’interesse attorno a questo gioco. La serie, ispirata al romanzo del 1983 di Walter Tevis, racconta la storia di Beth Harmon, un’orfana del Kentucky, diventata un prodigio degli scacchi negli anni ’50 e ’60. Beth si mette in mostra in un mondo tipicamente dominato dagli uomini.
Questa però è solo finzione. O almeno fino a un certo punto. Perché se scaviamo nel passato e andiamo alla ricerca di personaggi simili, scopriamo che è esistita davvero una regina degli scacchi. Non si chiamava Beth e non veniva dal Kentucky. Il suo nome era Vera Menchik e veniva dalla Russia. Ed ora vi racconterò la sua storia.
Vera Menchik nasce il 16 febbraio 1906 a Mosca in una famiglia multiculturale diremmo: padre boemo e madre inglese. Se nella serie Beth vive un’infanzia difficile, per Vera non si può dire lo stesso. La sua famiglia non aveva problemi economici. Anzi. Suo padre lavorava come manager di proprietà per famiglie benestanti; sua madre come governante. La famiglia possedeva anche un mulino e i soldi certo non mancavano visto che Vera frequentò una scuola privata per ragazze.
La Storia, quella con la s maiuscola, entra prepotente nella vita di Vera e della sua famiglia stravolgendo tutto. Nel 1917 la Russia è nel caos. Un Paese già stremato dal primo conflitto mondiale si ritrova ora coinvolto nella rivoluzione d’ottobre. Un evento che non cambierà solo la storia della Russia e di Vera, ma avrà conseguenza in tutto il mondo.
Per Vera però la rivoluzione sancisce la fine della sua vita agiata. Gli espropri forzati portano la famiglia a perdere i propri beni. Addio mulino e scuola privata. Ora i Menchik sono costretti a condividere la casa con altre persone e Vera si ritrova a frequentare una scuola pubblica dove mancano luce, elettricità e riscaldamento. E’ proprio in questi anni difficili, quando Vera ha appena 9 anni, che si avvicina al mondo degli scacchi. E’ suo padre ad insegnarle le regole del gioco. La piccola Vera partecipa anche ad un torneo scolastico.
La nostra lente si sposta ora in Inghilterra. Siamo nell’autunno del 1921 e la famiglia Menchik decide di lasciare la Russia. I suoi genitori si separano: suo padre torna nell’allora repubblica Cecoslovacca, mentre la madre con le due figlie, Vera e Olga, si trasferiscono in Inghilterra a St. Leonards-on-Sea, una piccola città che fa parte di Hastings. Lì viveva la nonna di Vera.
L’Inghilterra dei primi anni Venti appare come un mondo incantato agli occhi di Vera. Dopo le privazioni e gli stenti della Russia rivoluzionaria, la vita in Inghilterra sembra una favola. La stessa Vera è stupita, ad esempio, che sia possibile lasciare fuori dalla porta le bottiglie per il latte. In Russia, dice, tutti le avrebbero rubate.
In questo mondo incantato, c’è un piccolo dettaglio che potrebbe sfuggire: la lingua. Vera, infatti, non parla inglese. Ha 15 anni e conosce solo il russo. Il mondo, spesso, lo potremmo dividere in due categorie: chi dinanzi ad un problema vede un ostacolo e si ferma, e chi invece vede un’opportunità. Inutile dire che Vera appartiene alla seconda categoria. E’ proprio questo problema ad avvicinarla al mondo degli scacchi.
“Spesso mi è stato chiesto cosa mi ha fatto pensare seriamente agli scacchi – racconta Vera – Sembra che l’atmosfera di silenzio e fumo pesante non sia appropriata per una giovane donna. Questo è vero. In altre circostanze non mi sarebbe mai venuto in mente di passare del tempo in questo modo, ma gli scacchi sono un gioco tranquillo e quindi il miglior hobby per una persona che non può parlare correttamente la lingua”.
Il problema che diventa opportunità. Così Vera, seguendo alcune lezioni private, impara sempre di più sul gioco degli scacchi perfezionando la sua tecnica. Nel 1924 si unisce all’Hastings Chess Club. Il suo primo allenatore è un giocatore locale, John Drewitt, che le insegna l’apertura di gioco chiuso. In seguito si affida all’illustre maestro ungherese Géza Maróczy, che all’epoca era residente locale e membro dell’Hastings Chess Club. Secondo i giornali locali, Vera gioca circa 20 partite contro il maestro che inevitabilmente influenza le sue mosse. Il suo talento non tarda a venire fuori e Vera si mette in luce prima nei tornei locali, poi a livello regionale e infine internazionale.
La consacrazione avviene nel 1927. A Londra, contemporaneamente alla prima edizione delle Olimpiadi degli scacchi, si tiene anche il primo torneo mondiale femminile. La formula è un unico girone all’italiana a turno unico tra dodici giocatrici. Vera, che per l’occasione rappresenta l’Unione Sovietica, si classifica al primo posto laureandosi prima campionessa mondiale.
Negli anni successivi difende il titolo in altre sette occasioni. In 12 anni, fino al Campionato vinto a Buenos Aires nel 1939, su 99 partite giocate ai Campionati del mondo femminile perde solo 3 volte. Non c’è storia. E’ una fuoriclasse. Amburgo, Praga, Amsterdam, Varsavia, Stoccolma, non importa dove si tiene il torneo. Vera vince e sbaraglia le avversarie. La tedesca Sonja Graf è l’unica che prova ad impensierirla ma anche lei deve cedere al talento della russa che la batte per ben due volte.
Vincere contro le donne è troppo facile. Vera allora decide di cimentarsi nei tornei maschili. All’età di 23 anni, nel 1929, partecipa al torneo di Carlsbad (oggi Karlovy Vary), in Boemia. Per gli addetti ai lavori si tratta del “torneo di scacchi più importante dalla fine della prima guerra mondiale”. L’accoglienza riservatale non è delle migliori. Alcuni giocatori non accettano l’idea di confrontarsi con una donna. Tra questi, lo scacchista austriaco Albert Becker non perde l’occasione per sbeffeggiarla. Suggerisce di formare un club che prende il nome da Vera Menchik. Coloro che perderanno una partita contro di lei diventeranno membri a pieno titolo del club. Ironia della sorte, proprio Becker sarà il primo membro di questo club. Per Vera il torneo si dimostra un’ottima vetrina per mettersi in mostra. Non vince la competizione ma nemmeno chiude a 0 punti. E per una donna ad un torneo maschile con giocatori del calibro di José Raúl Capablanca e Max Euwe rappresenta più di un successo.
Nello stesso anno partecipa al torneo maschile di Barcellona vincendo l’ultimo degli otto premi in palio. La prima volta che una donna ha vinto un premio in un torneo di livello master. Due anni dopo, nel gennaio del 1931, nel torneo di Natale di Hastings Vera non arriva prima ma si toglie la soddisfazione di battere l’olandese Max Euwe che alla fine vincerà quel torneo. Nel 1935 a cadere contro la Menchik è Samuel Reshevsky. Becker, Euwe, Reshevsky, il “club della Menchik”, come era stato definito dallo stesso Becker, si arricchisce di nomi.
Occorre fare una precisazione riguardo i risultati ottenuti dalla Menchik nei tornei maschili. E’ vero, nei tornei di primo livello, ha sofferto spesso con i super campioni, a fatica riusciva a posizionarsi nella metà superiore della classifica finale, ma questo non vuol dire che non abbia raggiunto traguardi impensabili per l’epoca. Ricordiamo che siamo negli anni tra la Prima e la Seconda guerra mondiale e siamo in un mondo, come quello degli scacchi, patriarcale e elitario, dove la Menchik è riuscita nell’impresa non solo di battere alcuni colleghi maschi considerati campioni assoluti, ma anche di scardinare alcuni di quei pregiudizi che relegavano le donne ad un livello inferiore. Essere la prima donna a sfidare gli uomini va ben al di là del mero risultato sportivo. Ha fatto da apripista ad altre donne nel mondo degli scacchi ad alto livello. Solo per citarne una, pensiamo all’ungherese Judit Polgár considerata da molti la miglior giocatrice nella storia degli scacchi. Per intenderci, una ragazza che all’età di 15 anni divenne la più giovane grande maestro di sempre.
Se nel mondo femminile la Menchik non aveva rivali, in quello maschile se la giocava alla pari. Avviciniamo ancora di più la nostra lente e analizziamo le condizioni in cui giocava la Menchik.
Era costantemente sotto pressione. Per quell’epoca, una donna che sedeva al tavolo degli uomini e li sfidava a viso aperto, vincendo a volte, era considerata uno scandalo. Derisa e sottovalutata, doveva spesso dimostrare di essere all’altezza della sfida. Il sessismo imperante, pensiamo ad esempio al “Vera Menchik Club”, non aiutava la campionessa.
A questo si aggiungeva un altro problema. Nonostante i grandi successi ottenuti nel mondo femminile e maschile, la Menchik si ritrovava sempre in una situazione di “straniera in casa”. La Gran Bretagna non la accettò mai completamente perché non era nata lì. Non parlava ceco nonostante rappresentasse quel paese nei tornei, e non era russa, nonostante parlasse la lingua fin dalla nascita. Se cerchiamo il suo nome negli archivi dei tornei e delle partite, notiamo che accanto al suo nome non c’è mai lo stesso Paese o la stessa bandiera. E’ stata sempre considerata un’outsider. Nonostante vivesse in Inghilterra, fu considerata una straniera fino alla fine degli anni ’30, dunque non idonea per le competizioni nazionali. I giornali britannici, all’indomani della vittoria del suo primo titolo mondiale, la definirono “rifugiata russa”. Mettiamoci nei suoi panni e immaginiamo le difficoltà nel vincere e convincere i suoi colleghi maschi.
Solo nel 1937 diviene finalmente cittadina britannica dopo aver sposato lo scacchista Rufus Stevenson. Un matrimonio, però, che non dura molto a causa della morte prematura del marito avvenuta nel 1943.
Proprio negli anni ’40, la Storia, quella con la s maiuscola, ritorna nella vita di Vera. Il 27 giugno 1944, in piena seconda guerra mondiale, è previsto un incontro al quale parteciperà Vera. Ha vinto le prime tre partite e si appresta a disputare la semifinale. In realtà non prenderà mai parte a quella partita perché il 26 giugno 1944 una bomba tedesca V-1 colpirà la casa londinese dove viveva insieme alla sorella e alla madre, uccidendoli all’istante. Aveva 38 anni.
Non fu l’unica campionessa di scacchi a morire durante o subito dopo la guerra. Alexander Alekhine o lo stesso Capablanca che sfidò la Menchik morirono in quegli anni. Nonostante i necrologi e gli articoli sulla stampa all’indomani della sua morte, il nome di Vera Menchik cadde nell’oblio.
Una donna che ha fatto la storia e di sicuro è stata una delle più grandi giocatrici di scacchi della prima metà del XX secolo non può essere dimenticata così. Parliamo pur sempre della campionessa mondiale di scacchi femminile più longeva della storia, avendo detenuto il titolo per 17 anni. Eppure, dobbiamo attendere il 1957 per leggere la prima grande biografia a lei dedicata. A scriverla, e non sembra un caso, un’altra giocatrice: Elisaveta Bykova. Per circa 60 anni è stata l’unica biografia disponibile su Vera Menchik. Solo nel 2016 uscirono altre due diverse biografie, questa volta in inglese e in ceco.
Perché questo trattamento? Impossibile dare una risposta secca, di sicuro il clima difficile nel quale giocava la Menchik e i pregiudizi del tempo, non aiutarono a preservare la sua memoria. Morì da campionessa in carica. Per fortuna su internet si possono ancora trovare alcune sue foto. C’è n’è una emblematica. Fu scattata a Londra nel 1931 all’Empire Social Chess Club. Ritrae Vera Menchik all’opera. La campionessa è in piedi al centro della stanza. Con una mano mantiene la sua borsa, con l’altra muove una pedina. Che c’è di strano? Che la vediamo sfidare 20 avversari contemporaneamente. Uomini e donne.
Nonostante i suoi trofei fossero svaniti con lei in quel bombardamento qualcosa è rimasto. Non solo il ricordo di una delle migliori giocatrici di scacchi, ma anche un premio. Infatti ad oggi la nazione vincitrice delle Olimpiadi femminili di scacchi si aggiudica la Vera Menchik Cup, un modo per ricordare proprio la prima campionessa del mondo.
Siamo giunti al termine di questo episodio, vi ringrazio per l’ascolto. Come vi ho raccontato, sulla figura di Vera Menchik non ci sono molti libri. Oltre alle biografie già citate, vi lascio in descrizione gli articoli che ho letto ed utilizzato per quest’episodio. La mia ricerca, infatti, è partita da alcuni articoli letti sul Washington Post e su chess.com. Se vi è piaciuta questa storia, vi invito a condividere il podcast, a lasciare un commento o una recensione. Iscrivetevi al canale per non perdere i nuovi episodi. In cerca di storie è sulle maggiori piattaforme di podcast nonché su Instagram e Twitter. Inoltre, sul sito incercadistorie.com trovate le trascrizioni di tutti gli episodi. Vi ringrazio per l’attenzione e vi do appuntamento al prossimo episodio. Ciao!
Articoli e libri citati nel podcast
– “The forgotten female chess star who beat men 90 years before ‘Queen’s Gambit’” di Michael S. Rosenwald – Washington Post
– “Meet the ‘real-life Beth Harmon’ Vera Menchik, who predates Netflix’s ‘The Queen’s Gambit’ character by a few decades” di Joey Hadden – insider.com
– “Vera Menchik: The Real-life Beth Harmon” – chess.com
– “Vera Menchik: A Biography of the First Women’s World Chess Champion, with 350 Games” di Robert B. Tanner. McFarland Publishing