La lettera di Natale dimenticata

Un modo originale per augurarvi buone feste è riportarvi e raccontarvi la storia di una lettera.

Una lettera speciale scritta da Vincenzo Fugalli, sottotenente degli Alpini, la notte di Natale del 1942. Enzo, come si firma nella lettera, impegnato sul fronte russo, decide di mandare gli auguri alla sua famiglia in Italia. Quella lettera, così come tante altre scritte dal fronte, non arriverà mai. È stata trovata per caso nel febbraio 2021, 79 anni dopo, da Olga mentre metteva a posto i libri sulla guerra lasciati dal padre che, per tutta la vita, ha cercato testimonianze e corpi di italiani che combatterono sul fronte russo. Grazie a ricerche, tv e social, Olga è riuscita a consegnare finalmente la lettera alla famiglia del sottotenente Fugalli. Per l’esattezza a sua nipote Serena.

Nato a Barletta il 1° settembre del 1919, Enzo Fugalli morirà a 23 anni, soltanto un mese dopo quella lettera, il 26 gennaio del 1943, giorno della battaglia di Nikolaevka. Il suo corpo non è stato mai ritrovato.

A quasi 80 anni di distanza, le parole di Enzo Fugalli colpiscono ancora. Perché nonostante siano state scritte durante l’orrore della guerra, in quella campagna di Russia da cui oltre 90000 italiani non fecero ritorno, sono parole di speranza, vitalità e fiducia nel futuro. “Qui si diventa buoni. Buon Natale, pace tanta, Enzo”.

Il testo integrale della lettera:

Carissimi, perdonate il ritardo inevitabile di questa mia: dovevo scrivere ancora da una settimana fa, quando un colpo improvviso ci ha fatto levare le tende e mettere in cammino per altri lidi. Cammina, cammina e la lettera deve ancora partire. Finalmente arriviamo a destinazione: nuove responsabilità, nuovi pensieri, nuovi compiti, nuove sistemazioni; finché quando si può tirare il fiato, si tira fuori anche la lettera e si scrive… Così come ho fatto adesso. Vi dicevo che questa vita mi piace affatto perché è piena di imprevisti e di sorprese. Oggi siamo qui, domani siamo là, con uno spirito di adattamento così assoluto da farci invidiare dagli stessi nomadi di professione. Siamo giovani e il nuovo, con qualunque aspetto ci si presenti, ci sembra bello e desiderabile. Tutto questo per dirvi che sono contento di aver cambiato, anche se ora la vita è meno comoda di quella di prima, anche se il senso di responsabilità si fa più serio e più accorto; qui per la prima volta mi sento uomo responsabile del benessere di altri uomini.. E non mi sono mai sentito più orgoglioso e più fiero e più tranquillo di adesso. Sarei felice se sapessi che tra di voi ci fosse soltanto un poco della mia tranquillità. Siate sereni: ho la convinzione assoluta che non mi potrà mai capitare niente anche se camminiamo in mezzo alle mine e se andassi a cento assalti. È proprio così: io sento che mi andrà tutto bene, qualunque cosa capiti, e voi sapete che questi intimi, profondi presentimenti non sbagliano mai… Non crediate per questo che io sia imprudente e non accorto: la testa l’ho sempre ben piantata sulle spalle e mi serve per pensare prima quello che devo fare dopo. Qui per ora è tutto calmo, si aspetta, si sta all’erta, ci si fortifica, e si desidera che qualche russo venga a ficcare il naso ogni tanto nel reticolato: purtroppo questo non è ancora accaduto ma continuiamo a sperare. La soddisfazione che provo ad essere il capo, il confidente, l’amico di questi ragazzi magnifici sarà certamente la più bella di tutta la mia vita. Meno mangiano e più lavorano, meno dormono e più sono svegli, quando il sacrificio è maggiore, maggiore è la loro allegria. Non si potrà mai parlare abbastanza bene di questi affetti. Ormai mi vogliono bene, cominciano a stimarmi, hanno fiducia di me: è perché sentono il mio affetto, la mia stima, la mia fiducia. Vorrei raccontarvi di ognuno di loro perché uno è migliore dell’altro. Ho ragazzini di appena vent’anni e reduci dell’Africa, dell’Albania, della Francia, del Montenegro, molti hanno già famiglia, molti raccontano dei figli lontani ma nel dovere, nel servizio gravoso, nell’obbedienza, nella compassione reciproca. Sono tutti uguali, sono tutti alpini. Questa è la notte di Natale, sto scrivendo intanto nel ricovero che è attiguo al mio, stanno intonando la Pastorella e si dimenticano persino del rancio che tarda ad arrivare. Fuori nevica forte, si vede che il Bambino deve nascere anche qui, l’ambiente è quanto più propizio e suggestivo. Le vedette hanno un po’ freddo e molta nostalgia, vado fuori… È un chi va là continuo che si ripete lungo tutta la trincea, rispondo sempre con le stessa parola, la sola che lasci il passaggio: “Bruto Guadagnini, in gamba” “Sei tu Careggio? Tira gli occhi” “Paco Leali, stai attento che questo è un posto delicato”. Poi rientro al mio ricovero e sul tavolo ben stesa c’è una busta bianca: “S.t. Fugalli signor Enzo” – apro e sono gli auguri della mia squadra e sono tanto contento. Domani quando sarà giorno e potremo finalmente provare un po’ a dormire pur con le eterne scarpone ai piedi, sognando il Bambino e il nostro sogno sarà roseo e innocente come quello dell’infanzia. Qui si diventa buoni. Buon Natale, pace tanta, Enzo

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